Tutta l'umanità, tutte le etnie del mondo sembrano riunite in questo sabato americano afoso e soleggiato. A far compere e godersi la parte più succosa e rilassante della settimana: il weekend.
Ora alzate gli occhi. E quello che vedrete va dritto al cuore. Almeno al nostro sì, che ci siamo subito messi a fotografare.
Con l'entusiasmo dei bambini al luna park, non siamo mai stanchi di rimirare i grattacieli stagliarsi nell'azzurro un po' sbiadito dall'afa di luglio, scoprirne i mille riflessi nei vetri a specchio, il gioco di prospettive lungo le vie, i contrasti tra i vecchi e i nuovissimi edifici, i flussi inarrestabili di luci e foto giganti lampeggianti nelle pubblicità di Times Square e degli ingressi dei teatri di Broadway.
Come lo scrittore Paolo Cognetti, che di New York se ne intende parecchio, anche noi amiamo pensarla come Gotham, questa città che pare di conoscere da sempre e allo stesso tempo è sempre nuova. Una metropoli che non finirà mai di stupirci. Un luogo dell'immaginario uscito direttamente da tutti i film, romanzi,musical, poesie, foto che l'hanno avuta come protagonista. E' seducente, New York. Molto più della ragazza in reggiseno rosa, short bianchi e sguardo intenso che ricopre come una seconda pelle il bus che ci scorre davanti mentre aspettiamo pazientemente il semaforo bianco.
Eh già, perché qui a Gotham City, come in tutti gli Stati Uniti, il semaforo pedonale di via libera non è verde, è bianco.
Bighelloniamo senza una meta precisa. Giusto vogliamo goderci la passeggiata dello shopping da veri newyorchesi. Mescolandoci alla folla guardiamo le lussuose vetrine della Quinta Strada e passiamo di fronte alla Cattedrale di San Patrizio.
Di fronte, il Rockfeller Center con la fontana di marmo scuro e i putti dorati. E una curiosa scultura: un orecchio-piscina piuttosto surreale.
Nella città soprannominata "Grande Mela", un giro nel suo negozio Apple non può mancare. Entriamo nel grande cubo di cristallo dentro cui occhieggia la bianca sagoma della mela morsicata più famosa del web. All'interno, scendiamo per una scala a chiocciola anch'essa di cristallo e facciamo un giro fra computer e aggeggi vari di ultima generazione. C'è una ressa incredibile e tanti "digital kid" con in mano tablet e nelle orecchie bianchi auricolari o in testa cuffie enormi rispetto alle piccole teste.
La passeggiata continua lungo la Quinta, costeggiando uno dei confini del Central Park. Il percorso qui è pura poesia newyorchese: bancarelle variopinte promettono attraverso pannelli-menù succosi distillati di frutta e verdura. Accanto, da chioschi meno salutisti si sprigionano profumi decisi: hot-dog e pretzel ben caldi. Non ce li lasciamo certo sfuggire.
C'è pure qualche bancarella di libri usati, dove per aumentare la carica suggestiva che già ci pervade, basta fermarsi ed aprire la copia della "Trilogia di New York" di Paul Auster.
Diamo un'occhiata al verde del Central Park ma non entriamo, troppo caldo e afa,oggi.
Meglio proseguire verso una visione architettonica che non delude mai, la "sorprendente ziggurat bianca costruita in un isolato cittadino" come l'ha definita Adam Gopnik. Un colpo d'occhio che fa battere il cuore. In tutta la sua maestosa ma agile bellezza, il Guggenheim Museum, il capolavoro di Frank Lloyd Wright.
Si fa tardo pomeriggio e la luce, complice una cortina grigia di nubi, non è più quella brillante di prima. Decidiamo di scendere nella Metro e raggiungere il World Trade Center.
Lì, una silenziosa folla multietnica si raggruppa attorno ai bordi delle due profonde vasche realizzate dove sorgevano le Torri Gemelle. Tristezza e commozione si mescolano mentre ci avviciniamo a ciò che resta dell'11 Settembre 2001: più di 2500 nomi e cognomi ritagliati nel metallo nero con cui sono incorniciate le vasche. Qualche fiore, una bandierina, infilati fra le lettere segnano un fragile legame fra quei poveri morti e chi li ha amati in vita.
Le cascate d'acqua che scorrono lungo le pareti delle due voragini creano nuvole di umidità. L'aria ne è impregnata e tutto è velato da un'impalpabile nebbiolina. Deve anche aver piovuto un po' e le lastre scure sembrano piangere, coperte di gocce come sono.
Alle nostre spalle, quasi a compensare tutto quel nero metallo bagnato, si erge la candida schiena dell'"Oculus", la creazione architettonica di Santiago Calatrava. Appena inaugurato, ci colpisce per la sua bellezza. Emerge fra gli edifici con plastica imponenza e a noi pare più una balena bianca che un occhio, francamente. E poi stasera il contrasto di tanto biancore con il grigio scuro del cielo rende tutto tristemente suggestivo. Si sta facendo ora di tornare, preferiamo non visitare per adesso il museo dedicato alla Memoria dell'11 Settembre.
Entriamo perciò nell'"Oculus", che in realtà si chiama
World trade Center Transportation Hub ed è una fra le maggiori stazioni di interscambio dei mezzi pubblici di New York.
Anche dall'interno, l'"Oculus" continua a sembrarci un cetaceo, o un enorme animale preistorico di cui si possono contare ossa e vertebre. E' qualcosa di incredibile, non lascia certo indifferenti. A noi la gigantesca sala centrale ricorda persino, sarà a causa dell'enorme bandiera americana appesa al fondo della sala, lo spazio in cui venivano raggruppati e accolti a Ellis Island, cento anni fa, gli emigranti europei che bussavano alla porta newyorchese, per entrare nella Merica, nel Nuovo Mondo.