Se n'era accorto già nel 1941 Stefan Zweig, e lo dice nel suo splendido libro "Brasile, terra del futuro" scritto nel 1941 e ancora tanto essenziale da meritarsi un posto fra i pochi volumi che abbiamo potuto portare come bussola letteraria da viaggio.
Ogni volta che ci capiti, a Rio, sei travolto dalla bellezza della baia e dalla sensazione di essere dentro a una cartolina, nella pagina iniziale del depliant patinato di un'agenzia di viaggi, sulla copertina di un cd tante volte ascoltato. Il Corcovado col Cristo Redentor attirano sempre il tuo sguardo con la calamita di quelle braccia aperte. Anche se da sotto risulta piccolo piccolo tu sai che è lì. Davvero. E che anche tu sei lì, di nuovo lì. Mica davanti a una foto. Allora ti viene la frenesia di rivedere subito i tuoi piedi mentre calpestano le mattonelle bianche e nere con gli anelli, a Ipanema, e quelle a onde optical, di Copacabana. Sai perfettamente che hanno disegni differenti fra loro, quei lungomare: a casa ti diverti sempre a farne oggetto di domandine da telequiz per vedere chi sa abbinare i motivi alla spiaggia giusta. Ed ora finalmente sei di nuovo con i piedi sopra, non su quelle decine di imitazioni spiritose che hai calpestato nella tua infanzia in Liguria. Sei proprio sulle passeggiate di Ipanema e Copacabana. L'Atlantico sembra capire il tuo stato d'animo e può capitare che persino Tom Jobim, chitarra in spalla, ti si pari davanti per un saluto veloce. Ben tornati, Paola e Oscar. Boa Noite, caro Tom, hai notizie della Garota de Ipanema?