E' domenica mattina. Usciamo dalla Yellow House, il nostro alberghetto in stile primi del '900 affacciato sulla via Mariscal Foch, quartiere "La Mariscal". Zona di stile bohemien questa, ma anche moderna, con parecchi caffè, ristoranti, alberghi, negozi e discoteche.
Stamattina invece, domenica, tutto è tranquillo, silenzioso. La piazzetta è semideserta, popolata solo da qualche turista che come noi cerca il conforto di un primo fragrante caffè nel punto vendita "Juan Valdez" all'angolo. Il nostro programma prevede fra poco una passeggiata nel cuore antico della città, uno dei centri storici meglio conservati di tutta l'America Latina. Quito infatti venne fondata dagli spagnoli nel diciottesimo secolo sulle rovine di quella che era stata il più grande insediamento incaico dopo Cuzco, e territorio del leggendario Atahualpa.
L'appuntamento con le nostre guide d'eccezione, gli amici ecuadoriani Susana e Alvaro, è per le dieci. Iniziamo subito con loro la visita della chiesa e dal monastero di San Francisco. I campanili gemelli della facciata sembrano pungere le nuvole bianco-grigie che stamattina attraversano veloci il cielo blu.
Questi campanili, una delle immagini-simbolo della città, furono rasi al suolo dal devastante terremoto del 1868 e sono quindi di costruzione più recente rispetto al resto dell'edificio. Il complesso architettonico formato da chiesa e convento è davvero imponente, occupa l'intero lato della grande piazza, anch'essa dedicata al santo di Assisi, ed è soprannominato per la sua vastità l'"Escorial del Nuovo Mondo". Si estende infatti per almeno quarantamila metri quadrati di superficie.
Appena strappata ai figli del Sole, la Quito dei conquistadores fu subito un fiorire di chiese e monasteri sontuosissimi: francescani, gesuiti, agostiniani, domenicani, tutti a lasciare una ricca orma architettonica, con le loro sedi nel Nuovo Mondo da poco scoperto. L'ordine Francescano fu il primo a stabilirsi qui e in origine il nome della città era "San Francisco del Quito". I frati iniziarono subito a costruire il convento, divenuto ben presto un importantissimo centro di istruzione.
C'è anche una leggenda, dietro alla costruzione di questo luogo:
che la chiesa sia stata costruita dai diavoli! Si narra infatti che un indio di nome Cantuña si impegnò a costruire l'atrio da solo. Resosi ben presto conto di non poter mai farcela, non esitò a stringere un patto con Lucifero. Fu così che in una notte i diavoli completarono l'opera. Ma Cantuña aveva promesso in cambio la sua anima. Implorò la vergine di riscattarlo da quel triste destino. Fu esaudito. Quando infatti Lucifero venne a reclamare la sua anima, si scoprì che mancava una pietra al completamento dell'opera. Per questo motivo il patto fu annullato e l'indigeno potè salvare l'anima.
Già prima della conquista spagnola la vasta area occupata ora dalla piazza era il principale mercato della zona, dove si commerciavano tutti i prodotti provenienti dal mare, dall'altipiano andino e dall'Amazzonia.
Entrati nella chiesa, saliamo in alto, accanto all'organo, per godere di un punto di vista spettacolare sulla navata centrale e sugli sfolgoranti decori lignei del soffitto e delle pareti laterali.
Il complesso architettonico, però, riserva ben più di questo. Oltre alla splendida chiesa si snodano corridoi-museo, impreziositi da opere della scuola artistica barocca di Quito, interessante fusione di stili spagnolo, italiano, moresco, fiammingo e indigeno.
Il museo prosegue aprendosi improvviso su un chiostro perfetto, disegnato a forme regolari, una vera oasi creata per proteggere gli antichi abitanti del convento dalla confusione delle strade cittadine.
Qui tutto è pace, e silenzio interrotto solo dai gorgheggi esotici di uccelli che in Italia non siamo abituati ad ascoltare.
Ma la nostra visita della Quito storica e di ciò che resta dei suoi antichi abitanti deve continuare. Usciamo in strada. La nostra meta è una ricca dimora coloniale, la "Casa del Alabado", perfettamente conservata e ora sede del Museo di Arte Precolombiana.
Più di cinquemila reperti delle culture che popolarono il territorio ecuadoriano prima della conquista spagnola ci aspettano. Il Museo è un piccolo gioiello: luci morbide, legni e marmi tirati a lucido e teche minimaliste fanno perfetta cornice a reperti davvero incredibili.


Alvaro, antropologo, è di casa in questo museo: ha anche partecipato a un gruppo di scavo che ha portato alla luce i reperti. Ci guida con le sue preziose spiegazioni.
Si è fatta ora di pranzo e Susana, la deliziosa mamma di Alvaro, prende in mano la situazione. Adesso è lei la nostra guida, attraverso le specialità gastronomiche locali: "humas", "empanadas" d'ora in poi non avranno più segreti per noi!
Il Palazzo, Palacio de Carondelet, si trova sulla piazza grande di Quito, Plaza de la Indipendencia, cuore del centro storico.

Alle pareti, mosaici coloratissimi raccontano le origini dello Stato di cui in questi giorni siamo ospiti.

La foto ricordo nel salone dei ritratti non può mancare!
Lungo le pareti dei saloni e nei corridoi del palazzo sono esposti gli oggetti regalati in via ufficiale al Presidente attuale, Rafael Correa, i premi e i riconoscimenti, le medaglie e le decorazioni. Ci spiegano che non è stato sempre così, che alcuni presidenti consideravano i doni come un regalo personale da aggiungere al proprio patrimonio. Lui invece li considera un bene dello Stato e vuole che tutti i cittadini possano vederli.

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I suoi altari ospitano dipinti e statue di grande valore e questo tempio è stato via via definito nel tempo " Tempio di Salomone dell' America del Sud", "La più bella chiesa gesuita del mondo","ardente d'oro".
Non è permesso fotografare, per non danneggiare le decorazioni. Prendiamo quindi in prestito un'immagine dalla Rete. (https://www.flickr.com/photos/23005733@N00/1347454937)
Rimaniamo veramente abbagliati da tanta stupefacente ricchezza che mai ci saremmo aspettati, varcando il portone di questa chiesa.
L'itinerario di oggi sta per concludersi, resta solo il tempo per un caffè e un giro in macchina per la Quito moderna e residenziale.
Susana e Alvaro ce lo fanno fare, poi ci riportano alla "Yellow House". E' stato bello rivedersi qui, nella loro città. La promessa è di ritrovarci presto a Torino, dove saremo noi a far loro da guida!