

(Adelina Patti, Brady-Handy Photograph Collection, Library of Congress)
L'opinione pubblica e la stampa avevano allora caldeggiato la costruzione di un edificio come si deve, ed era sembrato giusto che a finanziare l'opera fossero proprio coloro che poi degli spettacoli avrebbero goduto maggiormente: gli agiati latifondisti e le loro famiglie. Così nel 1891 iniziarono i lavori che, con alterne vicende e polemiche a non finire sarebbero durati sette anni. Ai lavori presero parte esperti di origine o formazione europea tra i quali due marmisti di origine italiana, i fratelli Lorenzo e Fernando Durini, incaricati di costruire scaloni, balaustre e piedistalli. Anche gli affreschi presenti nell'interno del teatro (li vedremo fra poco) sono di mano italiana, dipinti a Milano da artisti della Scapigliatura. I sipari originali furono realizzati pure loro in Italia dal pittore Carlo Orgero, su commissione di Francesco Durini il quale, a Genova, fece anche produrre venti scenografie.
Ora però, varchiamo la soglia, contrassegnata dale iniziali del "Teatro Nacional" riportate sullo zerbino e sul vetro finemente molato delle porte d'accesso...
I nomi degli scultori suonano italiano! Già, perchè come già accennato, gli italiani hanno avuto una parte importante nella costruzione di questo gioiello. Venite con noi a scoprirne le preziose meraviglie.
Pavimenti e scalinate in marmi rosa, neri e bianchi, muri colorati con un ventaglio di sfumature pastello da fare invidia ai palazzi veneziani, fregi e stucchi dorati.
Delicate e preziose ghirlande, incorniciano fiori e frutti tropicali. Inconsueti soggetti, per noi abituati al solito cesto di frutta europea a cui ci ha abituato Caravaggio, no?
Ma la vera sorpresa viene adesso. Alziamo gli occhi al soffitto e si apre una spettacolare veduta di un porto. Il pittore qui ha dato sfogo alle sue fantasie più esotiche sui tropici: su una immaginaria banchina si affollano persone indaffarate, cariche di sacconi bianchi gonfi di caffè.
Uomini con cappelli di Panamà stringono al petto enormi caschi di banane verdi. E sul lato destro dell'improbabile paesaggio spiccano, in tutta la loro gioiosa quanto assurda allegria laboriosa, alcune eleganti raccoglitrici dei preziosi chicchi. Caffè che, nella realtà, non cresce al mare ma in climi freschi, in montagna.
La scena surreale è opera di un pittore italiano, milanese per la precisione, Aleardo Villa. Lui probabilmente il Costa Rica l'aveva solo sentito raccontare. E quando gli fu commissionato il quadro, nel 1897, fece del suo meglio. Oggi ci intenerisce, in questo tempo di Internet e comunicazioni veloci, poter "vedere" come immaginava l'esotico un milanese, in un'epoca che andava a cavallo, in treno, in piroscafo...o nutriva l'immaginario esotico della gente con romanzi di Emilio Salgari.
Ora seguiteci in un palco! Di quassù si apprezza a tutto tondo la perfezione di questa deliziosa bomboniera centroamericana. Il palcoscenico è già pronto per il Nabucco di stasera, due Menorah ai lati, scenografiche pagine della Torah come fondale. Semplice e moderno, contrasta bene con tutta l'opulenza neobarocca che lo circonda. Le luci del lampadario centrale e dei palchi risplendono per noi, visitatori pomeridiani. All'epoca dell'inaugurazione i documenti dicono che in tutto il teatro erano 1207 le lampade incandescenti da 16 candele, installate sotto la direzione tecnica dell'ingegnere elettrico italiano Alessandro Rampazzini. Dunque, ancora un italiano!
Usciamo dal palco per fare un giretto nell'elegante sala da concerto del piano superiore. Anche qui profusione di stucchi dorati, in una sinfonia di sfumature verdi pastello e veronese.
Ripassiamo nell'ingresso, un colpo d'occhio al piccolo caffè sulla destra, ancora qualche affresco milanese da ammirare nella stanza adibita a negozietto, a sinistra, dove facciamo in tempo a comprare un cd.

Buon viaggio, caro Giorgio ! Probabilmente ci rivedremo ancora, in un'altra vita, sotto un altro acquazzone, davanti a un altro teatro, in chissà quale parte del mondo...