lunedì 21 luglio 2014

Ecuador, Quito: dove si va per l'aeroporto?


Già. Dove si va per l'aeroporto? Quando siamo arrivati qui due giorni fa, era notte fonda. Sballottati per più di un'ora in un pullmino-taxi insieme ad altri otto passeggeri abbiamo percorso un bel po' di strada tutta curve e spesso in salita. Domattina all'aeroporto dovremo tornarci: il nostro soggiorno in Ecuador sta per finire e ci attende fra poco il Panamà,la nuova tappa della nostra avventura. Perciò, vogliamo capire come raggiungere l'aerostazione con i mezzi pubblici.
Seguendo le precise istruzioni del padrone della “Yellow House”, il nostro giallo rifugio qui a Quito, ci incamminiamo alla ricerca della fermata del bus che ci porterà alla stazione dei pullman chiamata “Rio Coca”. Di lì partono gli autobus che raggiungono la località dell'aeroporto.



Camminando, scopriamo una Quito tranquilla e inondata di sole tiepido. Gli edifici di questo quartiere sono bassi, quasi tutte villette di aspetto "Belle Epoque", con tetti aguzzi molto mitteleuropei ma una tinteggiatura accesa, tutta latinoamericana.







Troviamo la fermata, compriamo il biglietto (25 centesimi di dollaro a corsa, 0.12 per i passeggeri “over sessanta”). Arriva il bus e...viaaa! Una ventina di minuti trascorsi pigiati come piace a noi, insieme alla gente del posto su un mezzo pubblico con snodo, che sobbalza vigorosamente a ogni imperfezione del manto stradale. Certo più scomodo di un taxi, ma è solo mescolandosi in un giorno qualsiasi alla folla degli abitanti di un luogo che lo si comprende appieno. 

Ad esempio, sul nostro autobus viaggia vicino a noi una coppia. Lei, gonna lunga, camicetta di pizzo, gilè, capelli raccolti a trecce con fiori e decorazioni varie; lui in completo nero e camicia bianca ricamata, cappello nero a tesa larga. Un po' come, cappello a parte, i costumi tradizionali della Sardegna. In mano stringono buste grandi e gialline tipiche dei referti clinici e delle radiografie. Con molta probabilità gente arrivata a Quito da un pueblo (villaggio) per ragioni di salute e, si sa, in città si scende vestiti “da festa”. Che tenerezza, e che invidia, per un popolo che sa ancora essere orgoglioso delle proprie tradizioni invece di farle diventare roba buona solo per i musei locali e per feste e balli a beneficio dei turisti.



Eccoci finalmente a “Rio Coca”, fermata capolinea per il mezzo che abbiamo appena preso. L'autostazione è bella grossa, molto pulita e con quel nonsochè tipico di tutti i posti del mondo dove si arriva e si parte. “Nonluoghi” li ha ribattezzati Marc Augè, l'antropologo francese.







Caccia al bus per l'aeroporto, ora! Perlustrazione di paio di banchine senza esito, poi finalmente lo troviamo.










Verde, è lì. In attesa del suo carico di umanità viaggiante per accendere il motore. Sul parabrezza, inequivocabilmente, spicca la destinazione che ci interessa: Aeropuerto Mariscal Sucre.








Ci informiamo sul prezzo del biglietto (solo due dollari a testa), sul percorso e sugli orari di partenza.










Fra ventiquattr'ore, più o meno, saremo di nuovo qui. Rotolando i nostri trolley verso Nord Ovest...per parafrasare la celebre canzone dei Negrita. Che però rotolavano verso Sud.