Dopo la "giornata cuscinetto" di ieri a Bogotà, un girovagare da pigri senz'altro compito che aspettare l'ora del volo aereo, siamo finalmente arrivati in Ecuador. L'aeroporto internazionale di Quito, "Marescal Sucre", è distante quasi un'ora di auto dalla città. Era tardi, oltre la mezzanotte, e con un viaggio in pullmino che ci è sembrato un'eternità siamo approdati finalmente all'albergo dove trascorrere la nostra prima notte a cavallo dell'Equatore. Già, perchè a pochi chilometri dalla capitale ecuadoriana passa il parallelo più lungo e famoso del mondo, quello che lo divide esattamente a metà.
Appena svegli e aperte le tende, il sole ha invaso la stanza e i colori brillanti ci hanno ricordato che Quito con i suoi 2850 mt sul livello del mare è la seconda capitale del mondo per altitudine, dopo La Paz.
Nel parco sottostante
attrae subito la nostra curiosità una scritta rosso vivo. Intorno, un viavai di persone.
Dal nostro punto d'osservazione, al decimo piano dell' hotel, sembrano formichine operose.
Avvicinandoci col teleobiettivo, ecco apparire tanti piccoli turisti colorati, intenti a dare l'assalto al vermiglio nome della città che, a quel punto, siamo ansiosi di "scalare" anche noi.
Non resistiamo oltre: colazione veloce e scendiamo in strada. Albergo di lusso, bye-bye: stamattina traslocheremo nella più economica e famigliare "Yellow House", a qualche isolato da qui.
Ma prima, ovviamente, la foto con la scritta "Quito"!
Reso l'irresistibile omaggio al dio del del kitsch turistico, iniziamo la passeggiata per le vie di questa parte moderna e vivace della città.
Oggi è sabato e le strade sono ancora abbastanza tranquille. Pochi pedoni, pochi veicoli, molto silenzio, cielo blu. Per una grande città sudamericana non è cosa da poco.
L'aria è frizzante. Siamo ai piedi del vulcano Pichincha, la città occupa infatti una conca nel grande altipiano centrale andino. Intravediamo i versanti montuosi far capolino da ogni angolo sgombro da edifici.
La nostra esplorazione prosegue. Un negozio di articoli tipici ecuadoriani attira lo sguardo. Qualcuno ci aveva parlato di questa bottega. Osserviamo con più attenzione. Sembra un po' vecchiotto, l' insegna è sbiadita.
Dentro però vendono i famosi "cappelli di Panamà" marca Montecristi. Quelli che si possono arrotolare fino a diventare una piccola striscia, e che possono servire da scodella per bere l'acqua alle fontane. Roba da quasi duemila dollari, dipende dal tipo e dalla raffinatezza della fibra. Ne siamo incantati, la paglia dalle varie sfumature panna contrasta con i nastri scuri.
Questo copricapo è un'icona dell'eleganza maschile da quando Roosvelt nel 1906 lo indossò durante la visita al canale di Panamà, allora in costruzione. Pochi sanno che questo cappello è prodotto da 300 anni in Ecuador, nell'antica città di Cuenca, con paglia raccolta nella cittadina di mare chiamata Montecristi e il metodo di lavorazione risale agli Inca, che con quella paglia tessevano capi d'abbigliamento. Lasciamo a malincuore i cappelli che costano quanto un biglietto aereo intercontinentale e ritorniamo in strada.
Ancora pochi isolati e ci siamo: ecco la nostra casa per i prossimi tre giorni. La casa gialla in stile Belle Epoque che tanto ci era piaciuta nelle immagini di internet, la "Yellow House".
Proprio come ce la immaginavamo.
Sistemati i bagagli e fatte due chiacchiere con il simpatico albergatore cubano, decidiamo di occupare il pomeriggio con un tour della città di quelli fatti con il bus a due piani. Sarà pure questa, come già la foto appollaiati sulla scritta "Quito", roba "da turisti" un po' kitsch. Ma permette di farsi un'idea generale di un luogo e di goderlo in una prospettiva particolare se ci si siede al piano alto del pullman, che di solito è senza il tetto. Conquistate così le nostre posizioni in prima fila, percorriamo oscillando le viuzze ripide del centro storico "Patrimonio dell'Umanità" del'UNESCO. Il nucleo coloniale più vasto e meglio conservato del Sud America. Domani lo visiteremo accuratamente, in compagnia di Alvaro, giovane e valente antropologo, e di sua mamma Susana. Li abbiamo conosciuti l'anno scorso in Bolivia, anche loro in viaggio, e ora siamo felici di rivederli qui, nella loro splendida città.
Oggi, ci accontentiamo di fotografare facciate, cornicioni e balconcini.
Sotto di noi scorre la "movida" del sabato pomeriggio. La Plaza de la Indipendencia, la piazza principale, è luminosa, popolata di famiglie che si godono il tepore del sole. La facciata del Palazzo de Carondelet, sede del Presidente della Repubblica, e quelle degli altri antichi edifici risaltano in tutta la loro candida bellezza.
Il bus si sta ora avvicinando ad un punto panoramico di Quito: "El Panecillo", una collina ventosa sulla cui sommità si erge una gigantesca statua della Vergine Maria, e accanto un piccolo monumento di attribuzione Incaica.
Raggiungiamo lo spiazzo e ci fermiamo per fotografare il panorama, davvero notevole.
Spiccano in lontananza alcuni vulcani innevati, li possiamo riconoscere con l'aiuto di un tabellone.
La "Virgen de Quito", con i suoi settemila pezzi di alluminio che sfolgorano al sole, ci guarda materna dall'alto.
La statua è una replica della scultura dell'artista quiteno Bernardo de Legarda.
Più sotto, un piccolo monumento che dicono risalire al tempo degli inca, e punto energetico molto importante.
La cima del "Panecillo" è sferzata dal vento e si presta a far volare gli aquiloni. Il cielo ne è punteggiato ed è bello vedere intere famigliole esercitarsi in questo gioco sportivo, gioioso e colorato.
Il nostro bus turistico riprende il cammino. Passerà fra poco accanto alla stazione di partenza del "Teleférico". E' questa la nostra vera meta, consigliataci caldamente sia dagli amici di Quito (con cui ci incontreremo domani)che dal nostro albergatore.
Pare sia un punto panoramico ancora più spettacolare del "Panecillo": lì si sale a 4053 metri, per mezzo di una teleferica che percorre in una decina di minuti un dislivello di circa 1000 metri, un percorso di due chilometri e mezzo in ripida salita che ci regalerà, dicono gli amici, una Quito mozzafiato. Andiamo, allora. Saliamo a vedere di cosa si tratta!
Il paesaggio che ci si è aperto davanti agli occhi all'arrivo della cabina a quota 4100 non poteva essere descritto che con le immagini che abbiamo scattato. Manca soltanto la sensazione di aria fredda e il leggero senso di vertigine dei 4000, quota a cui dal viaggio in Bolivia e Perù dell'anno scorso non eravamo più abituati.
L'aria ora si fa ancora più fredda, e inizia a diminuire la luce. E' ora di rientrare a valle. Una lunga coda di turisti ci precede e intasa la stazione delle cabinovie. Finalmente tocca il nostro turno. Scendiamo lentamente, sotto di noi si avvicina sempre più la miriade di lampadine che disegnano la Quito notturna. Un mantello prezioso intessuto di gemme d'oro.
Infreddoliti e stanchi per la lunga giornata e per la quota, non resta che tornare alla nostra Casa Gialla per un buon sonno ristoratore. Prima, però, tappa al ristorante argentino a fianco della "Yellow House": un saporito piatto di carne e una buona birra locale ci vogliono proprio.
Infreddoliti e stanchi per la lunga giornata e per la quota, non resta che tornare alla nostra Casa Gialla per un buon sonno ristoratore. Prima, però, tappa al ristorante argentino a fianco della "Yellow House": un saporito piatto di carne e una buona birra locale ci vogliono proprio.