Dopo la "giornata cuscinetto" di ieri a Bogotà, un girovagare da pigri senz'altro compito che aspettare l'ora del volo aereo, siamo finalmente arrivati in Ecuador. L'aeroporto internazionale di Quito, "Marescal Sucre", è distante quasi un'ora di auto dalla città. Era tardi, oltre la mezzanotte, e con un viaggio in pullmino che ci è sembrato un'eternità siamo approdati finalmente all'albergo dove trascorrere la nostra prima notte a cavallo dell'Equatore. Già, perchè a pochi chilometri dalla capitale ecuadoriana passa il parallelo più lungo e famoso del mondo, quello che lo divide esattamente a metà.
Appena svegli e aperte le tende, il sole ha invaso la stanza e i colori brillanti ci hanno ricordato che Quito con i suoi 2850 mt sul livello del mare è la seconda capitale del mondo per altitudine, dopo La Paz.
Nel parco sottostante
attrae subito la nostra curiosità una scritta rosso vivo. Intorno, un viavai di persone.
Dal nostro punto d'osservazione, al decimo piano dell' hotel, sembrano formichine operose.
Ma prima, ovviamente, la foto con la scritta "Quito"!
Reso l'irresistibile omaggio al dio del del kitsch turistico, iniziamo la passeggiata per le vie di questa parte moderna e vivace della città.
Oggi è sabato e le strade sono ancora abbastanza tranquille. Pochi pedoni, pochi veicoli, molto silenzio, cielo blu. Per una grande città sudamericana non è cosa da poco.
Questo copricapo è un'icona dell'eleganza maschile da quando Roosvelt nel 1906 lo indossò durante la visita al canale di Panamà, allora in costruzione. Pochi sanno che questo cappello è prodotto da 300 anni in Ecuador, nell'antica città di Cuenca, con paglia raccolta nella cittadina di mare chiamata Montecristi e il metodo di lavorazione risale agli Inca, che con quella paglia tessevano capi d'abbigliamento. Lasciamo a malincuore i cappelli che costano quanto un biglietto aereo intercontinentale e ritorniamo in strada.
Proprio come ce la immaginavamo.
Oggi, ci accontentiamo di fotografare facciate, cornicioni e balconcini.
Sotto di noi scorre la "movida" del sabato pomeriggio. La Plaza de la Indipendencia, la piazza principale, è luminosa, popolata di famiglie che si godono il tepore del sole. La facciata del Palazzo de Carondelet, sede del Presidente della Repubblica, e quelle degli altri antichi edifici risaltano in tutta la loro candida bellezza.
Raggiungiamo lo spiazzo e ci fermiamo per fotografare il panorama, davvero notevole.
Spiccano in lontananza alcuni vulcani innevati, li possiamo riconoscere con l'aiuto di un tabellone.
La "Virgen de Quito", con i suoi settemila pezzi di alluminio che sfolgorano al sole, ci guarda materna dall'alto.La statua è una replica della scultura dell'artista quiteno Bernardo de Legarda.
Il nostro bus turistico riprende il cammino. Passerà fra poco accanto alla stazione di partenza del "Teleférico". E' questa la nostra vera meta, consigliataci caldamente sia dagli amici di Quito (con cui ci incontreremo domani)che dal nostro albergatore.
Il paesaggio che ci si è aperto davanti agli occhi all'arrivo della cabina a quota 4100 non poteva essere descritto che con le immagini che abbiamo scattato. Manca soltanto la sensazione di aria fredda e il leggero senso di vertigine dei 4000, quota a cui dal viaggio in Bolivia e Perù dell'anno scorso non eravamo più abituati.
Infreddoliti e stanchi per la lunga giornata e per la quota, non resta che tornare alla nostra Casa Gialla per un buon sonno ristoratore. Prima, però, tappa al ristorante argentino a fianco della "Yellow House": un saporito piatto di carne e una buona birra locale ci vogliono proprio.
