mercoledì 31 luglio 2013

Colca Canyon: El Condor Pasa





"Oh Condor, voglio tornare alla mia amata terra e vivere con i miei fratelli Inka" recita il testo originale della celebre "zarzuela".  Le sue note risuonano per le Ande dal lontano 1913 e ha l'onore di essere uno dei brani musicali che la sonda Voyager -moderno condor meccanico- sta portando nello spazio infinito, alla ricerca di nuove civiltà. Noi stamattina entreremo nel Canyon del Colca, il secondo per profondità dopo il Grand Canyon. Ne percorreremo una parte fino ad arrivare al Mirador "La Cruz del Condor", terrazza panoramica naturale davanti alla quale il più grande volatile al mondo "pasa" e si produce in spirali alla ricerca delle correnti ascensionali, per la gioia di turisti e fotografi. 

Lasciamo l'hotel "Casa de Mama Yacchi", a Coporaque, per fermarci dopo pochi chilometri a Maca. 





 La sua chiesa bianca, con i due campanili gemelli, si staglia nel blu. Visitiamo rapidamente l'interno e risaliamo sul pulmino. 








Intorno, il mercatino dell'artigianato locale sta lentamente prendendo forma nella luce tagliente delle otto di mattina. 








Ripartiamo e il panorama si fa sempre più interessante: a destra, sul versante opposto della vallata ammiriamo la struttura geometrica delle terrazze agricole costruite in epoca precolombiana: le "andenes".

 Alcune sono ancora sfruttate, altre sono in stato di abbandono. La loro grande quantità è indice di quanto fosse numerosa la popolazione qui, al tempo degli Inka. Nelle "andenes" venivano coltivati soprattutto mais, quenoa, patate.

 Alla nostra sinistra invece, pareti di roccia chiara perforate da nicchie. Juan Carlos, ci spiega che si tratta di tombe precolombiane.

Necropoli inconsueta che ci fermiamo a fotografare.




Ora la strada si snoda a mezza costa inoltrandosi nel Colca. Le rocce sottostanti si fanno scure e ripide. Un'altra sosta permette di rendersi conto appieno della profondità del canyon.





Ancora una curva ed ecco le terrazze panoramiche da cui ammirare i condor! Di loro, però, nemmeno l'ombra. Ci appostiamo in attesa, mescolandoci ad una folla di turisti armati di ogni bendidio fotografico.











Altri volatili cercano di tenerci compagnia con le loro danze.











  
Colibrì giganti e piccoli rapaci si producono in evoluzioni coreografiche, cercando le termiche ascensionali o i fiori profumati da cui succhiare il nettare.





Ma gli occhi di tutti -e le  
macchine fotografiche- sono puntati sul cielo e aspettano loro. I Condor. Gli animali sacri, per gli Inka il simbolo del "mondo di sopra", il mondo degli dei. Come il Serpente lo era per il mondo "di sotto", cioè dei morti, e il Puma  per il mondo dei viventi. Ecco finalmente apparire i Divi. Non camminano su un tappeto rosso come alle mostre del cinema. Recitano, invece, davanti a un fondale blu abbacinante che ci stordisce nello sforzo di non perdere un solo secondo del loro volo maestoso. 




                 




                                    


Con gli occhi ancora pieni di luce azzurra e di ali, lasciamo a malincuore questo angolo di paradiso.