Il cielo del Perù non è affatto blu al nostro arrivo a Lima, ma soffice e grigio. "Uno sporco soffitto di cotone" lo ha definito il giovane scrittore peruviano Daniel Alarcon che infatti ha scelto come sua residenza la California. Più o meno da aprile a dicembre Lima è sovrastata da questa cappa plumbea, a volte inumidita dalla "garua", nebbiolina bagnata che si forma nelle zone costiere interessate da correnti marine. Abbandoniamo la nicchia calda del volo intercontinentale attraverso le porte scorrevoli dell' aeroporto e con un taxi ci dirigiamo verso l'hotel, nel quartiere residenziale Miraflores.
Percorriamo così il cordone ombelicale fra l'aerostazione e la Capitale: una strada ad elevata percorrenza intasata di autoveicoli e camion vetusti, corriere spelacchiate e vivacemente dipinte, qualche fuoristrada di lusso. Il tasso di inquinamento da gas di scarico e' palpabile e odorabile, il paesaggio sonoro un susseguirsi di strombettamenti ora brevi e discreti, ora lunghi e imperiosi. Il taxista evita con maestria, all'ultimo istante, tamponamenti e speronamenti che a noi - dal sedile posteriore - sembravano cosa certa. Il grigio tetto di nubi, il fumo dai tubi di scappamento e la sera ormai prossima rendono l'atmosfera alquanto invernale. Come giusto che sia: siamo a luglio nell'emisfero sud, no? Finalmente approdiamo a destinazione, "The House Project".
Hostal dall'atmosfera molto sportiva stile rifugio alpino o centro di paracadutismo, è un covo di surfisti gestito con simpatica informalità da un gruppo di ragazzi. Unico neo,il freddo umido della sera limeńa che penetra anche nella camera da letto, ovviamente senza riscaldamento come nella miglior tradizione della nostra Liguria di una volta. Ma anche questo è molto sportivo e, in fondo, non ci crea così disagio. Probabilmente nemmeno gli Inca godevano di molti confort.