venerdì 26 luglio 2013

Cusco: bianco, rosso... e il cielo sempre più blu



Il 28 di luglio,la più importante festa nazionale peruviana, è ormai alle porte: in quel giorno del 1821 il generale Josè de San Martin, a Lima, proclamò l'indipendenza del Perù dalla Spagna.

Un'altra mattina di sole brillante illumina Cusco. E un'altra parata sta per snodarsi lungo il perimetro della Plaza de Armas. Parata vera, stavolta, mica le prove generali o le qualificazioni delle scuole, come ieri. Oggi il gioco si fa duro, e i duri scendono in campo. Gli istituti scolastici qualificatisi ieri stanno già sfilando: professoresse in minigonna e impettite allieve di scuole militari e professionali.







Ma oggi saranno protagonisti soprattutto i corpi dell'esercito, carichi di bellicosa potenza e coreografica dedizione alla biancorossa bandiera peruviana e agli alti graduati radunati sotto le patriottiche tende del palco d'onore.




Dopo aver fatto qualche foto dalla postazione privilegiata costituita dalle balconate dello Starbucks, ci mescoliamo alla folla in festa. Come seguendo un tacito richiamo, alziamo gli occhi su una colonna del porticato che si snoda intorno alla piazza. Una lapide in pieno sole ricorda un altro episodio tragico a cui questa piazza “ombelico dell'ombelico del mondo” ha dovuto assistere: la morte di Gabriel Aguilary e Manuel Ubalde, nel lontano dicembre del 1805. 


Colto, esperto di mineralogia e di miniere, Gabriel era rimasto impressionato dalle terribili condizioni di lavoro a cui erano sottoposte le migliaia di indios addetti all'estrazione dell'argento. Insieme all'avvocato Manuel Ubalde, organizzarono una rivolta per ottenere l'indipendenza del Perù dalla Spagna e restaurare una monarchia di origine incaica. Il progetto fallì e la Plaza de Armas divenne il luogo dell'esecuzione della loro condanna a morte. Decisamente questi blocchi di  pietra ne hanno di cose da raccontare. E meno male che con gli inseparabili smartphone e un po' di wi-fi dello Starbucks possiamo immediatamente trasformare in pagine di Storia a noi intelligibili, ciò che le pietre ci sussurrano con il loro linguaggio misterioso. 

Lo pensiamo,  inoltrandoci lungo la via da dove partono i cortei. L' “ammasso”, come si dice in Italia. 

Assistiamo così da vicino al “riscaldamento” delle truppe. Facce mimetizzate nere e verdi, gialle e nere, bianche e rosse,  sudano sotto il sole.






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Piedi protetti da scarponi anfibi battono il selciato, portando truppe pronte a fondersi con deserti, ghiacciai e selve per non farsi scoprire dal nemico. 




Alle grida ritmate, ora si aggiunge uno scalpiccio leggero e regolare: sfilano davanti a noi cavalieri avvolti nel tradizionale coloratissimo poncho, e con la bandiera inca - la “Unancha”- a guidare il drappello. 










Passano graduati in alta uniforme sopra a  cavalli addobbati come dame in festa. 















Passano cucine da campo e passano pure, portando un po' di trasgressione, ragazze in minigonna rigorosamente mimetica, cariche di palloncini rossi e gialli e di rumorosa allegria.






Tanto qui siamo ancora nelle retrovie, tutto è permesso. La seria compostezza inizierà alla fine della strada, quando i soldati saranno in vista del palco delle autorità e inizieranno a percepire l'abbraccio dalla  Plaza imbandierata e festante, pronta ad accoglierli.