venerdì 26 luglio 2013

Cusco: Qorikancha, Saqsayuaman, Tambomachay, Pukapukara. Alla ricerca delle pietre perdute.

Dopo il dispiegamento di potenza militare moderna della parata di stamattina, abbiamo deciso di esplorare nel pomeriggio, con un tour organizzato, i luoghi dove trionfava con tutto il suo splendore la potenza antica degli Inca, cui Cusco deve fondazione e fama. Poi, il vento del loro destino cambia direzione, gonfiando le vele alle imbarcazioni di uomini che arrivano da un luogo sconosciuto e lontano. E così stupefacenti da essere scambiati per divinità. I nuovi Dei arrivano presto a Cusco. Ed è la fine, per il centro del mondo Inca e per i suoi edifici spettacolari.

Quando le truppe bianche misero a sacco l'ormai sconfitta città, ne assaltarono i templi con furia cieca e aggiunsero all'avidità per l'oro che ornava i muri, a simboleggiare il dio Sole, il piacere sadico di cambiare quell'idolo dolente di un popolo allegro con l'allegro e vivificante simbolo di un popolo triste. I templi di Inti vennero distrutti sino alle fondamenta oppure le loro pareti servirono da struttura portante alle chiese della nuova religione: la cattedrale fu eretta sulle macerie di un grande palazzo e al di sopra dei muri del tempio del Sole si alzarono quelli della chiesa di Santo Domingo, sfida e castigo del conquistatore orgoglioso. Eppure il cuore d'America, vibrando di indignazione, trasmette ogni tanto un tremore nervoso nel fianco quieto delle Ande, e la tremenda frustata raggiunge la superficie della terra e per tre volte la cupola dell'orgogliosa Santo Domingo, con fragore di ossa rotte, è rovinata giù dal suo trono, e le sue mura offese si sono aperte cadendo anch'esse; ma la base su cui riposa il blocco del tempio del Sole, ostenta la propria indifferenza di pietra grigia, senza che la magnitudine del disastro che ha colpito la sua dominatrice smuova minimamente una sola delle rocce che lo formano.” (Ernesto Che Guevara, pag. 114 de Latinoamericana – I diari della motocicletta, Mondadori,Trad. di Pino Cacucci e Gloria Corica)

Non c'è forse riflessione più suggestiva di questa, per iniziare la nostra visita al primo sito: il Qorikancha, tempio dedicato a Inti, il dio del Sole, l'edificio interamente rivestito di lamine d'oro e popolato di statue, oggetti, alberi d'oro e d'argento a grandezza naturale, così raccontano le cronache di Garcilaso de la Vega.


Chissà come devono essersi sentiti gli avidi “Dei” giunti dal mare, alla sua vista, un attimo prima di gettarsi con furia su tutta quella lucente materia.


Di oro non ce n'è rimasta nemmeno una scaglia fra queste pietre grigie e massicce, elegantemente incastrate una sull'altra a testimoniare quel che resta dell'antica sacra meraviglia, racchiusa fra le mura del Convento di Santo Domingo come una perla fra le valve di un' ostrica. Entriamo facendoci largo tra la folla di turisti, che qui non manca mai. Non è permesso fotografare. 
Ci dobbiamo accontentare di portare con noi soltanto la sensazione intensissima provata ad accarezzare quei massi possenti, incastrati talmente bene uno sull'altro da resistere ai violenti terremoti che hanno squassato e danneggiato più volte il guscio cattolico che da secoli le ingabbia. Ma questo, ben prima di noi, l'aveva già descritto il “Che”. 


Lasciamo il convento di Santo Domingo, ancora dentro al centro storico di Cusco, per iniziare il tour vero e proprio che ci porterà a visitare altri tre importanti luoghi, localizzati fuori dalla città vera e propria. Saqsayhuaman, a otto chilometri di distanza è il primo. 
Ci appare, appena scesi dal pullman, come un immenso piazzale di terra ed erba secca, sovrastato da mura massicce di pietra grigia. 


Formano strutture a zig-zag, paiono miraggi di castelli con torri e pinnacoli, dolmen e collinette quasi celtiche dipinte su un fondale di cielo indaco. Anche le nuvole hanno qualcosa di magico e surreale, oggi, bianche, gonfie e formose. 









La nostra guida, un ragazzo simpatico e molto preparato che si fa chiamare “Roly”, ci fa sedere per terra e inizia a raccontare. 











Pare che questa sia la più grande struttura che gli Inca abbiano mai costruito. Per finirla ci hanno messo quasi ottant'anni. E quei pietroni che ci sovrastano, incastrati l'uno sull'altro senza l'ausilio di malte o cementi, pesano fino a 125 tonnellate. 


Gli archeologi ritengono che questa fosse la reggia dell'Inca, mentre è decisamente stata smentita la vecchia versione che la riteneva una fortezza. Lo diventò, però, quando fra queste mura fu combattuta una delle battaglie più tremende della conquista spagnola tra Juan Pizarro, fratello di Francisco, e Manco Inca. 




Pizarro, vittorioso, si impossessò del luogo e Manco Inca fu costretto ad allontanarsi per sempre da Cusco per rifugiarsi nella fortezza di Ollantaytambo, da dove riuscirà a tenere testa per un breve periodo ai conquistadores. Ma questa è un'altra storia, come direbbe Hemingway...o meglio un altro post di questo blog http://paolaeoscar.blogspot.it/2013/07/ollantaytambo-sulle-traccie-di-manco.html .

C'è aria fresca e sole caldo oggi qui. Fa piacere rimanere seduti a terra ad assaporare il tiepido del terreno, circondati da tutte queste pietre possenti. E dispiace pensare che questo nobile luogo sia stato la principale fonte di materiale edilizio per costruire la Cattedrale e molti edifici della Cusco coloniale. 

Roly ci spiega che Saqsayuaman ha la forma di una testa di puma, il cui corpo dovrebbe corrispondere alla sottostante Cusco. I massi paiono allora i denti del puma, l'animale sacro della cosmogonia andina che vedeva in questo felino la raffigurazione del livello "terreno" del mondo. I tre livelli che rappresentano i tre mondi sono infatti Hanan Pacha, il mondo di sopra (sole, luna e stelle, simboleggiate dal Condor), Kay Pacha, questo mondo (rappresentato dal Puma) e Uku Pacha, il mondo di sotto (la morte, ed ha come simbolo il serpente). Il 24 giugno, solstizio d'inverno qui nell'emisfero australe, lo spiazzo sul quale siamo seduti diventa il teatro della (Festa del Sole), la ricostruzione moderna dell'antichissimo rito dell'"Inti Raymi". Era la più importante festa religiosa del Cusco, segnava l'inizio del nuovo anno e celebrava l'origine mitologica del popolo Inca.
( Foto:  http://es.wikipedia.org/wiki/Inti_Raymi )

Garcilaso de la Vega narra di nove giorni di festeggiamenti, con balli e sacrifici di animali. L'ultima vera “Inti Raymi” alla presenza dell'imperatore Inca fu celebrata nel 1535. Nel 1572 la festa, considerata pagana, venne ufficialmente proibita dal Vicerè Francisco da Toledo, e solo più celebrata clandestinamente.
Solo nel 1944 Faustino Espinosa Navarro, scrittore ed attore peruviano, effettuò una ricostruzione basandosi sulle cronache di Garcilaso. Da allora viene riproposta soprattutto per i turisti che convergono ogni anno numerosi al Cusco per assistervi.

E' la volta ora della visita a Tambomachay, 3865 metri d'altitudine, undici chilometri da Cusco. "Tambo" significa luogo di riposo ma anche posto tappa dove trovare rifugio e derrate alimentari per rifocillarsi (il Camino del Inca era punteggiato da "Tambo" a distanza regolare) "Machay" caverna, luogo scuro, ombroso, riparato. Qui, dove al tempo degli Inca vi era un bosco ci sono gli antichi acquedotti, luogo di relax per l'imperatore, la famiglia imperiale e la corte. Da quel che dicono le guide, ancora non si è riusciti a capire dove siano le sorgenti di quest'acqua che scorre davanti a noi con la stessa portata da tutte le bocche. Davvero notevole la perizia raggiunta nell'ingegneria idraulica da questo popolo precolombiano. Vi sono anche quattro aperture quadrate, quattro finestre che simboleggiano le quattro stagioni dell'anno. 





Le guide raccontano poi che questo sito era anche un tempio dedicato all'elemento acqua, e che i sacerdoti si purificavano lavandosi qui  prima di compiere i riti sacri. e che queste acque possedevano, e ancora oggi possiedono, proprietà terapeutiche soprattutto per l'apparato digerente. Ora però, continua il nostro accompagnatore, l'ottanta per cento dell'acqua che arriva a Tambomachay viene deviata verso la fabbrica della birra Cusquena. Ma è la nostra birra preferita, in questo viaggio ! Chissà... forse a forza di berlo torneremo in Italia come nuovi, meglio che se fossimo stati un mese alle terme di Fiuggi.





Contenti per quest'ultima scoperta ripercorriamo il largo sentiero verso l'uscita,
senza farci mancare la solita foto di prammatica in compagnia di signora andina in abito tradizionale e pacifici lama al seguito. Sta già facendo buio e l'ultimo sito archeologico della giornata ci aspetta: Pukapukara.





Ci stiamo riavvicinando a Cusco, qui siamo a sei chilometri di distanza. Come sempre, cominciamo con un po' di etimologia. “Puka” vuol dire rosso, e ci spiegano che qui con certe condizioni di luce le rocce assumono suggestive sfumature rosate. “Pukara” sarebbe un piccolo fortino. Questa doveva essere una costruzione di presidio al vicino luogo di villeggiatura reale di Tambomachay, che di qui dista un paio di chilometri. Ne visitiamo i ruderi che è quasi notte. 



Intorno, l'aria “imbruna”, per dirla in modo leopardiano. La posizione di Pukapukara, affacciato su Cusco, permette un'affascinante visione dell'ombelico del mondo Inca in procinto di addormentarsi.


Ci inoltriamo in un percorso che si snoda lungo una specie di cunicolo formato da massi uniti insieme.








Dentro alla piccola galleria, ormai immersa nel buio, intravediamo un altare di pietra.



Facciamo in tempo a riemergere per godere ancora di un velo di luce: accarezza le antiche pietre e si distende sui tetti color mattone di Cusco. Nubi color albicocca si stendono pigramente sul cielo verde acqua. Una nuova notte sta per incominciare. La nostra ultima notte nell'”ombelico del mondo”.