martedì 23 luglio 2013

Machu Picchu: la città sospesa fra le montagne


Se ne sono scritte, e ancora se ne scriveranno sulla città sospesa fra le montagne ritrovata il 24 luglio 1911 dall'esploratore americano Hiram Bingham. Ma non basteranno mai le parole - o le migliaia di scatti fotografici - per rendere fino in fondo l'emozione di trovarcisi dentro. Machu Picchu fu fatta edificare dall'Inka Yupanki - il potente Pachakuti, "il trasformatore" - signore del suo popolo fra il 1438 e il 1471. Era una tenuta reale dove si sperimentavano colture e metodi agricoli, ma anche un centro di studi astronomici e, forse, rifugio per sacerdotesse e nobili donne da nascondere alla furia spagnola in modo che potessero continuare a celebrare i riti religiosi. Addirittura qualcuno ritiene che vi sia sepolto Pachakuti stesso. Il mistero è ancora piuttosto fitto e varie le supposizioni, basta consultare siti e fonti bibliografiche diversi per toccare con mano. Noi però vogliamo proprio toccare con mano le sue affascinanti, lisce e solide pietre. Così, sveglia alle 5, rapida colazione, e ci tuffiamo nelle stradine di Aguas Calientes umide di pioggia che sta ancora cadendo.


Individuiamo subito la fila di turisti assonnati in attesa dei pullman-spola con Machu Picchu; ci accodiamo e finalmente partiamo. Il percorso si inerpica su strada sterrata e tutta curve. Lungo la salita l'autista deve fare i conti con i suoi colleghi che ridiscendono la carrareccia. Si sale in questo modo per circa mezz'ora, poi ecco l'ingresso al Parco Archeologico: altra coda, controllo passaporto (sì, avete letto bene), controllo prenotazione, ed entriamo.
Sono le 7:30, fa freddo ma almeno ha smesso di piovere. Tutto è avvolto in un'atmosfera perlacea. La nostra prima meta sarà la salita al Wayna Picchu, l'alta montagna a forma di panettone verde che sovrasta l'antica città da nord-ovest, ben visibile nella foto "classica" di Machu Picchu. Il permesso di ripercorrere il sentiero di salita e' un privilegio accordato a soli 400 visitatori al giorno: per questo lo abbiamo prenotato da mesi.














Arrivati in vetta, di lì si potranno fare le foto piú spettacolari della città Inka. Una prima ondata di emozione ci coglie quando ne costeggiamo le rovine, vedendole così vicine a noi per la prima volta.

Ma ora ci attende il bivio per la salita alla Montagna Giovane (questo, il significato di "Wayna Picchu"). Ce ne allontaniamo quindi a malincuore, camminando per un sentiero via via più ripido, stretto e faticoso.
La pioggia recente ci ha regalato profumi inaspettati, perchè la vegetazione ne è interamente impregnata. Il sole fa adesso la sua comparsa rendendo gli scorci di paesaggio sottostante ancor più suggestivi: batuffoli candidi e leggeri salgono dalla roccaforte Inka, che si lascia fotografare ormai avvolta da un velo di luce d'oro.
Lo spettacolo mozza il fiato ancor più del grado di pendenza del sentiero, che qui decisamente non scherza. Il percorso (lo stesso che utilizzavano gli Inka) è ora attrezzato in alcuni punti con fittoni e cavi d'acciaio per tenersi. La compagnia comunque non manca: condividono con noi la salita parecchi turisti, tra cui due giovani di Tokyo e un gruppo di ragazze brasiliane. Ci aiutiamo reciprocamente nei passaggi resi più impegnativi dall'umidità, e nelle soste chiacchieriamo un po' scambiandoci consigli sugli itinerari peruviani o raccontando dei rispettivi viaggi in Giappone, Brasile e Italia. Finalmente la cima "conquistata"!




Di lassù la vista è meravigliosa e vale la fatica della salita. Sotto di noi si stende come in una tovaglia antica il ricamo delle mura e degli edifici scoperchiati, incastonati nel verde dell'erba appena asciugata dal sole. Il tempo di scattare le imperdibili inquadrature, poi la foto di rito accanto al cartello con la quota della cima, e iniziamo la discesa delle ripide e strette scalinate del sentiero Inka.





Il percorso è esposto, ripido e piuttosto affollato: il vero pericolo ora è che qualcuno scivoli e trascini gli altri nella caduta.


Per fortuna tutto fila liscio, e nel giro di mezz'ora siamo di nuovo alla base della Giovane Montagna che - ci hanno detto le guide - gli Inka utilizzavano per stoccare le derrate alimentari necessitanti di temperatura fresca. Ora camminiamo all'interno delle rovine della città.
I nostri passi ricalcano quelli di altri calzari più antichi che in altri tempi percorsero questa incredibile piattaforma urbana. Adesso una guida ci indica edifici, illustra architetture, ricorda abilità e usanze di questa straordinaria cultura precolombiana.


Noi, affaticati dalla recente salita e accarezzati dal sole ormai alto e brillante nel cielo blu, lasciamo che la mente ceda il passo alle sensazioni forti e istintive che questo luogo sa dare malgrado l'affollamento di visitatori che ci circonda. Forse, da qualche parte, lo spirito del grande Pachakuti starà osservando compiaciuto la sua città prediletta, nuovamente - anche se solo di giorno - abitata.