Lo scrittore, allora ventenne, tornato in compagnia di sua madre a cercare di vendere la casa dei nonni, era sceso proprio da un treno.
" -La stazione!- esclamò mia madre - Come sarà cambiato il mondo se nessuno aspetta più il treno - Allora la vecchia locomotiva smise di fischiare, rallentò la corsa e si fermò con un lamento lungo. La prima cosa che mi colpì fu il silenzio. Un silenzio materiale che avrei potuto identificare a occhi bendati fra gli altri silenzi del mondo "
"La vecchia stazione di legno, col tetto di zinco e un balcone coperto, era come una versione tropicale di quelle conosciute attraverso i film western".
La dipinge così nell' autobiografia "Vivere per raccontarla". E anche se al legno hanno sostituito il cemento, l'aria di silenzioso abbandono percepita dal giovane "Gabo" c'è ancora tutta.
Già,siamo proprio arrivati nel luogo in cui è ambientato "Cent'anni di solitudine", la misteriosa Macondo, quella che nelle carte geografiche non c'è perché bisogna cercare invece Aracataca. Ora il nome d'arte acquisito dal paesino è dipinto sulla tettoia della stazione, screpolato e sbiadito. Il cuore batte lo stesso a mille, a vederlo. Lasciamo che sia ancora Garcia Màrquez a spiegarci da dove viene "Macondo", nome così musicale ed evocatore da ricordare una formula magica :

Alcuni ragazzi motociclisti aspettano alla fermata del bus i rari forestieri che si spingono fin qui. Sanno bene dove vogliono andare gli innamorati letterari di "Gabo", e per pochi pesos ci portano in sella alla prima tappa, la casa-museo.

comunque.
"Il primo vano fungeva da salotto per i visitatori e da ufficio personale del nonno. Aveva una scrivania con la tendina, una poltrona girevole a molle, un ventilatore elettrico e una libreria vuota con un solo libro enorme e slabbrato: il dizionario della lingua" ( da "Vivere per raccontarla" )
La ricostruzione è perfetta. Alle pareti foto di famiglia dei nonni e delle zie, ovali con i visi del padre e della madre di Gabo, una tenera foto dello stesso Gabo da piccolo, si mescolano a frasi dei romanzi e dell'autobiografia, prese come fonti per il lavoro certosino di riproduzione degli ambienti.
Ne risulta un' affascinante immersione nel mondo umano e letterario dello scrittore colombiano, dove nessun particolare è stato trascurato.
"La sala da pranzo era solo un tratto allargato della veranda col parapetto dove le donne della casa si sedevano a cucire, e aveva una tavola per sedici commensali previsti o inattesi che arrivavano quotidianamente col treno di mezzogiorno" (da "Vivere per raccontarla")
Ora la tavola è apparecchiata solo per sei, ma rende bene l'idea di una casa dove l'ospitalità era un valore importante, cosicché la sfilata di personaggi spesso bizzarri in visita ai nonni era inesauribile materia prima per la fantasia fervida del piccolo Gabo.

-E qui sei nato tu!-
Non lo sapevo fino ad allora, o l'avevo dimenticato, ma nella camera successiva trovammo la culla in cui avevo dormito fino ai quattro anni e che mia nonna aveva conservato per sempre."
(da "Vivere per raccontarla" )



Il pellegrinaggio però non è finito: c'è ancora un posto da visitare, imperdibile per gli adoratori dell'opera di Garcìa Màrquez, e stavolta è un originale, mica una ricostruzione. Percorriamo qualche isolato a piedi dalla casa-museo, ci fa da guida un ragazzo del luogo che ne tiene chiavi e memoria storico-letteraria: si tratta della "Casa del telegrafista", cioè dell'ufficio del telegrafo dove il padre di Gabo aveva lavorato e abitato prima di conoscere e impalmare (dopo lunghe e a loro modo esilaranti peripezie) la signorina Luisa Santiaga Màrquez.
La porta si apre su un angolo di storia della famiglia Màrquez, oggetti, alberi genealogici, documenti, lettere, prime edizioni dei libri di Gabo, fotografie. Facciamo a gara con la guida-custode nel riconoscere i cimeli e collocarli nel giusto contesto letterario e biografico.

Un acquazzone tropicale di breve durata ma come sempre intenso ci coglie mentre siamo ancora all'interno dell'ex Telegrafo. Il profumo di terra bagnata misto ad aroma di fiori entra prepotentemente. Appena fuori, le strade bagnate e le foglie ancora grondanti di pioggia regalano inquadrature dai colori intensi. Aracataca, che una volta era ai confini della famosa "Zona bananera" e le cui piantagioni fino agli anni '30 avevano arricchito le tasche della United Fruit Company vive il suo presente in dignitosa povertà ma garantendosi, grazie a Gabriel Gàrcia Màrquez un posto d'onore nel paradiso della Letteratura e dell'immaginario dei suoi devoti lettori. Vi regaliamo allora una carrellata di immagini: non è cosa di tutti i giorni, una passeggiata per le strade di Macondo!
(da "Vivere per raccontarla". Tutte le citazioni sono tratte dall'edizione italiana, Gabriel Gàrcia Màrquez, Vivere per raccontarla, Milano Mondadori 2002, traduzione di Angelo Morino)