Una corriera dagli interni fatiscenti e strapiena di passeggeri ci scarica all'inizio del paese, accanto ai binari ferroviari.
Lo scrittore, allora ventenne, tornato in compagnia di sua madre a cercare di vendere la casa dei nonni, era sceso proprio da un treno.
" -La stazione!- esclamò mia madre - Come sarà cambiato il mondo se nessuno aspetta più il treno - Allora la vecchia locomotiva smise di fischiare, rallentò la corsa e si fermò con un lamento lungo. La prima cosa che mi colpì fu il silenzio. Un silenzio materiale che avrei potuto identificare a occhi bendati fra gli altri silenzi del mondo "
"La vecchia stazione di legno, col tetto di zinco e un balcone coperto, era come una versione tropicale di quelle conosciute attraverso i film western".
La dipinge così nell' autobiografia "Vivere per raccontarla". E anche se al legno hanno sostituito il cemento, l'aria di silenzioso abbandono percepita dal giovane "Gabo" c'è ancora tutta.
Continuiamo la lettura del libro attraverso cui lo scrittore ci farà da guida spirituale per tutto il giorno. La nostra copia in italiano (confessiamo di aver comprato anche quello originale in spagnolo a Bogotà) ha la copertina di un giallo squillante e l'abbiamo portata nello zaino dall'Italia come una reliquia, in attesa del gran giorno in cui avremmo visitato…Macondo!
Già,siamo proprio arrivati nel luogo in cui è ambientato "Cent'anni di solitudine", la misteriosa Macondo, quella che nelle carte geografiche non c'è perché bisogna cercare invece Aracataca. Ora il nome d'arte acquisito dal paesino è dipinto sulla tettoia della stazione, screpolato e sbiadito. Il cuore batte lo stesso a mille, a vederlo. Lasciamo che sia ancora Garcia Màrquez a spiegarci da dove viene "Macondo", nome così musicale ed evocatore da ricordare una formula magica :
Alcuni ragazzi motociclisti aspettano alla fermata del bus i rari forestieri che si spingono fin qui. Sanno bene dove vogliono andare gli innamorati letterari di "Gabo", e per pochi pesos ci portano in sella alla prima tappa, la casa-museo.
Si tratta di una ricostruzione fedele, perché l'originale è andata distrutta. Ma l'emozione è indescrivibile
comunque.
"Una casa lineare di otto vani l'uno dopo l'altro, lungo una veranda con un parapetto di begonie dove si sedevano le donne della famiglia a ricamare sul tombolo e a chiacchierare nella frescura dell'imbrunire. Le stanze erano semplici e non si distinguevano fra loro, ma mi bastò uno sguardo per rendermi conto che in ognuno degli innumerevoli dettagli c'era un istante cruciale della mia vita" (da "Vivere per raccontarla")
"Il primo vano fungeva da salotto per i visitatori e da ufficio personale del nonno. Aveva una scrivania con la tendina, una poltrona girevole a molle, un ventilatore elettrico e una libreria vuota con un solo libro enorme e slabbrato: il dizionario della lingua" ( da "Vivere per raccontarla" )
La ricostruzione è perfetta. Alle pareti foto di famiglia dei nonni e delle zie, ovali con i visi del padre e della madre di Gabo, una tenera foto dello stesso Gabo da piccolo, si mescolano a frasi dei romanzi e dell'autobiografia, prese come fonti per il lavoro certosino di riproduzione degli ambienti.
Ne risulta un' affascinante immersione nel mondo umano e letterario dello scrittore colombiano, dove nessun particolare è stato trascurato.
Il mitico nonno materno,Nicolàs Màrquez (Papalelo, per i nipoti, fonte ispiratrice di tante memorabili situazioni narrate poi da Gabo e preso a modello per il personaggio del Colonnello Buendia) come il suo celebre alter-ego letterario si dilettava a creare pesciolini d'oro. Vederne alcuni qui è un'emozione.
"La sala da pranzo era solo un tratto allargato della veranda col parapetto dove le donne della casa si sedevano a cucire, e aveva una tavola per sedici commensali previsti o inattesi che arrivavano quotidianamente col treno di mezzogiorno" (da "Vivere per raccontarla")
Ora la tavola è apparecchiata solo per sei, ma rende bene l'idea di una casa dove l'ospitalità era un valore importante, cosicché la sfilata di personaggi spesso bizzarri in visita ai nonni era inesauribile materia prima per la fantasia fervida del piccolo Gabo.
Poi, la zona delle camere da letto, quella dei nonni prima di tutto.
"Mia madre mi fece la sorpresa più inattesa con un' enfasi trionfale.
-E qui sei nato tu!-
Non lo sapevo fino ad allora, o l'avevo dimenticato, ma nella camera successiva trovammo la culla in cui avevo dormito fino ai quattro anni e che mia nonna aveva conservato per sempre."
(da "Vivere per raccontarla" )
"L'ultima camera era un deposito di masserizie e bauli, messi in pensione, che avevano tenuto desta la mia curiosità per anni (…) c'erano pure i settanta vasi da notte comprati dai miei nonni quando mia madre aveva invitato le sue compagne di corso a passare le vacanze nella casa " (da "Vivere per raccontarla")
Il pellegrinaggio però non è finito: c'è ancora un posto da visitare, imperdibile per gli adoratori dell'opera di Garcìa Màrquez, e stavolta è un originale, mica una ricostruzione. Percorriamo qualche isolato a piedi dalla casa-museo, ci fa da guida un ragazzo del luogo che ne tiene chiavi e memoria storico-letteraria: si tratta della "Casa del telegrafista", cioè dell'ufficio del telegrafo dove il padre di Gabo aveva lavorato e abitato prima di conoscere e impalmare (dopo lunghe e a loro modo esilaranti peripezie) la signorina Luisa Santiaga Màrquez.
La porta si apre su un angolo di storia della famiglia Màrquez, oggetti, alberi genealogici, documenti, lettere, prime edizioni dei libri di Gabo, fotografie. Facciamo a gara con la guida-custode nel riconoscere i cimeli e collocarli nel giusto contesto letterario e biografico.
C'è persino una scultura di nonna Tranquilina Iguaràn, grandezza naturale, sulla sua sedia a dondolo!
Un acquazzone tropicale di breve durata ma come sempre intenso ci coglie mentre siamo ancora all'interno dell'ex Telegrafo. Il profumo di terra bagnata misto ad aroma di fiori entra prepotentemente. Appena fuori, le strade bagnate e le foglie ancora grondanti di pioggia regalano inquadrature dai colori intensi. Aracataca, che una volta era ai confini della famosa "Zona bananera" e le cui piantagioni fino agli anni '30 avevano arricchito le tasche della United Fruit Company vive il suo presente in dignitosa povertà ma garantendosi, grazie a Gabriel Gàrcia Màrquez un posto d'onore nel paradiso della Letteratura e dell'immaginario dei suoi devoti lettori. Vi regaliamo allora una carrellata di immagini: non è cosa di tutti i giorni, una passeggiata per le strade di Macondo!
(da "Vivere per raccontarla". Tutte le citazioni sono tratte dall'edizione italiana, Gabriel Gàrcia Màrquez, Vivere per raccontarla, Milano Mondadori 2002, traduzione di Angelo Morino)