venerdì 15 agosto 2014

Colombia, Cartagena e la "Guerra dell'orecchio di Jenkins"

Ancora un reportage da Cartagena, stavolta per raccontare di... un celebre orecchio; un "casus belli" anatomico che scatenò una guerra durata quattro lunghi anni ( per la precisione dal 1739 al 1742 ) fra la Corona inglese e quella spagnola, passata alla Storia come la "Guerra dell'orecchio di Jenkins". 



Nell'illustrazione in bianco e nero(@Wikipedia con colori aggiunti, disegno originale conservato al British Museum di Londra) potete vedere il capitano di vascello Robert Jenkins nell'atto di mostrare agli atterriti e un po' schifati  membri della Camera dei Comuni inglese il suo orecchio, mozzato e conservato nell'alcool.
Jenkins ha appena finito di raccontare come, il 9 aprile 1731, mentre navigava sulla sua "Rebecca" nei Caraibi, era stato attaccato dalla guardia costiera spagnola capitanata da un tal Juan de Leon Fandino. La "Rebecca" era stata saccheggiata e poi lasciata alla deriva e lui, il Capitano Jenkins, legato, aveva dovuto subire l'amputazione di un orecchio. Quello appunto esibito come prova della crudeltà e scorrettezza della marina spagnola verso i navigatori inglesi. Naturalmente l'Inghilterra non aspettava occasione migliore per scatenare un conflitto che ponesse fine al dominio spagnolo nelle Indie Occidentali ed ai suoi commerci navali nel Nuovo Mondo.
E guerra quindi fu. La "Guerra dell'orecchio di Jenkins", per l'appunto. Scatenata per interessi preminentemente economici, combattuta, per quanto riguarda i Caraibi, e l'opposto versante del Pacifico, in alcuni dei luoghi che abbiamo da poco visitato: Portobelo, ad esempio, ed anche la "Panama Viejo". Mentre oggi entrano in scena Cartagena (dove ci troviamo), l'Ammiraglio Edward Vernon, il suo vice Thomas Wentworth, e soprattutto lo spettacolare Forte di San Felipe de Barajas, posto su un'altura che domina la città.

E' proprio qui, al forte di San Felipe, che vi porteremo adesso: la location di un assedio e di una strenua difesa spagnola che ne usci duramente decimata ma vittoriosa grazie al coraggio della guarnigione del Forte ed alla abilità del comandante della flotta spagnola, mutilato, nelle molte battaglie, di mano e gamba e orbo, Blas de Lezo soprannominato "Patapalo", gamba di legno, ed anche "El Medio Hombre", il mezzo uomo.






La flotta inglese comandata dall'Ammiraglio Vernon era di ben 195 imbarcazioni con 3000 cannoni e 25.000 soldati inglesi coadiuvati da altri 4000 giunti dai neonati Stati Uniti: un'enormità. Lo storico militare Vidondo ha scritto che l'Inghilterra solo nello sbarco in Normandia avrebbe ancora dispiegato un numero così imponente di forze navali. Al contrario, le difese di Cartagena erano costituite da non più di 3000 uomini, 600 indios lanciatori di frecce, e sei navi militari con marinai e fanteria. La proporzione fra soldati inglesi e spagnoli era uno spagnolo per dieci inglesi, scrive ancora Vidondo.



 Si fatica a immaginare, in questa pacifica mattina, l'inferno che deve essersi scatenato quel 20 aprile 1741 nello specchio di Atlantico antistante il Forte, da dove siamo affacciati. 
Forse un quadro di Luis Fernandez Gordillo, ora ospitato nel Museo Navale di Madrid, può darcene un'idea. (@Wikipedia)




Gli inglesi di Vernon avevano cercato di assaltare il Forte dal retro, poi cercato di vincere la resistenza degli spagnoli dando l'assalto alle mura per mezzo di lunghe scale. Davanti, gli schiavi giamaicani armati di machete. Ma con grande sorpresa, le scale non si erano rivelate sufficientemente alte, anche perchè il geniale comandante spagnolo, "Patapalo", aveva fatto scavare un fossato intorno alle mura del Forte per aumentarne l'altezza. Intanto gli spagnoli dalle feritoie della Fortezza sparavano eliminando un altro bel po' di assalitori inglesi. E il giorno dopo, approfittando dello scoramento che aveva assalito le forze britanniche, una carica effettuata dai soldati spagnoli usciti a sorpresa dal Forte sbaragliò gli assedianti che si videro costretti alla ritirata fuggendo sulle navi. Dai velieri si scatenò ancora un'offensiva sulla città, con cannonate che però non riuscirono comunque a farla cadere. 
Finalmente Vernon si decise ad abbandonare le acque davanti a Cartagena de Indias. Il giochetto era costato le vite di 5000 soldati inglesi, dicono le cifre ufficiale, ma gli storici ritengono molti di più. Pare che ognuna di quelle navi fosse carica di feriti che pareva un ospedale, racconta ancora lo storico Vidondo. E, come ci ha tramandato una leggenda, Vernon provava così tanto odio per il suo avversario "Patapalo-Medio Hombre" Blas de Lezo, da gridare al vento che gonfiava le vele del suo viaggio di ritorno "God damn you, Lezo!". "Che Dio ti maledica, Lezo!".





La Fortezza di San Felipe de Barajas è davvero affascinante. I suoi punti strategici erano collegati da un sistema di gallerie che serviva a distribuire vettovaglie e masserizie ma anche a permettere spostamenti rapidi ed eventuali fughe. I cunicoli poi, furono progettati in maniera tale che i suoni si propagassero per la loro intera lunghezza. In questo modo i passi di eventuali invasori nemici si sarebbero potuti sentire con facilità, ma anche le comunicazioni di servizio gridate da un capo all'altro del complesso difensivo. L'ideatore di tanta meraviglia si chiamava don Antonio de Arevalo ed aveva realizzato questo sistema di gallerie utilizzando i minatori arrivati dalle miniere di Siviglia, inviati nel Nuovo Mondo per "modernizzare" le miniere della Nuova Granada ma da lui cooptati per rinforzare la fortezza. Alcune gallerie sono visitabili e ne percorriamo un tratto, emergendo ogni tanto in piazzole di tiepida pietra spazzata dal vento, poi ripiombando nel fresco e buio intestino del Forte.









Osserviamo un ultimo particolare, curioso ed a suo modo suggestivo, mentre scendiamo lungo le scalinate del possente complesso. Ce lo fa notare l'audioguida, che abbiamo ben salda nelle orecchie. La voce ci dice di alzare lo sguardo verso alcune colature scure che segnano esternamente la parete ripida del bastione centrale: si tratta dei punti di scarico delle latrine della guarnigione, "le necessarie", come si chiamavano a quel tempo. 
Anche adesso abbiamo bisogno delle "necessarie". Osserviamo ridendo quelle moderne, chimiche, candide scatolone di plastica appoggiate alle settecentesche muraglie, lì a farci riflettere che le reali necessità dell'Uomo, in fondo, sono sempre le stesse.