venerdì 8 agosto 2014

In viaggio verso Colòn, per raggiungere la mitica Portobelo

Check-out presto, stamattina. Lasciamo il comodo e centrale albergo della capitale panamense e zaini in spalla scendiamo nella metropolitana per raggiungere il solito nodo strategico della stazione di Albrook. Ormai siamo esperti navigatori di questa moderna e dinamica città, ed entusiasti fruitori della sua piccola, economica e linda metropolitana: un'unica linea, percorribile con un biglietto del costo di 0,35 dollari.









Dalla stazione di  Albrook prendiamo un comodo e anonimissimo pullman diretto verso il lato atlantico del Paese.














In un paio d'ore eccoci a Colòn, sul versante caraibico del Panamà
Avevamo letto che la città è povera e di conseguenza pericolosa. Poche inquadrature dai finestrini dell'autobus ci confermano che con zaino al seguito forse è meglio rinunciare a un giretto a piedi. Magari ci sbagliamo...ma è meglio ascoltare l'istinto. E inoltre questo è l'altro capo del Canale di Panamà, nota zona portuale di traffici più o meno loschi. Meglio esagerare con la prudenza.


Il bus finisce la sua corsa nella più pittoresca e surreale autostazione pubblica che fin ora ci sia capitato di vedere: benvenuti nel regno chiassoso e felliniano delle "chorreras", le incredibili corriere colorate del Panamà. A Colòn oggi sono concentrate le migliori!!! Almeno a noi, pare così.






Saliamo su uno di questi giocattoloni per percorrere i 55 chilometri che separano Colòn da Portobelo, la nostra meta per un paio di giorni sulle tracce delle imprese di pirati e corsari dei Caraibi.









Partenza!!! Finestrini tutti giù, porte aperte anche in marcia, balli caraibici a tutto volume sparati dagli altoparlanti posteriori della "chorrera" si mescolano al rumore assordante dell'aria e turbinano attorno a noi, che ci facciamo i selfie invece di badare che gli zaini non vengano catapultati fuori da un sobbalzo più violento degli altri...Questa è davvero l'America Latina che amiamo!










Portobelo, la mitica "Portobello" a cui allude la Portobello Road di Londra, eccola finalmente.
Il punto di arrivo e partenza delle ricchezze coloniali ora è un villaggio modesto e sonnacchioso dove nella piazza principale non incontriamo anima viva.





In compenso la chiesa è aperta, con il portone principale spalancato. Allora, entriamo.









Il Cristo nero di Portobelo è veneratissimo da queste parti. L'autista della "chorrera" ne aveva un'immagine bella grossa proprio vicino al volante.   Riconosciamo  facilmente quello  originale nella sua teca, circondato com'è da lumini votivi. C'è odore di cera di candele e di legno profumato. Portobelo ci ha già catturato nella sua atmosfera...e non siamo arrivati che da un quarto d'ora. 



Nei nostri piani avremmo intenzione passare la notte in  paese...di alberghi nemmeno l'ombra, però. Abbiamo alcuni suggerimenti di ostelli, desunti dalla guida Lonely Planet, ma non ne vediamo  traccia. Cominciamo a sentirci sperduti, in questa piazza deserta. Svoltato un angolo vediamo svettare su una strana costruzione a palafitta un'insegna pubblicitaria decisamente  suggestiva: l'ostello del Captain Jack, col cartello completo di Jolly Roger con teschio e tibie. Irresistibilmente attratti camminiamo nella direzione indicata:  siamo a caccia di pirati, corsari, filibustieri e bucanieri nella località che fu saccheggiata da Henry Morgan e dalla sua ciurma, e dove al largo della sua baia giace in una bara di piombo il mitico Francis Drake! Come resistere alla curiosità di varcare la soglia del covo di Captain Jack?!







L'ostello ha un bell'aspetto nelle parti comuni, il resto è essenziale che più non si potrebbe. Comunque l'unica camera privata è libera e ce la assicuriamo per la notte a un costo di 9 dollari, doccia rudimentale con acqua solo fredda e formiche comprese nel prezzo. Ci sentiamo alla Tortuga anche senza Henry Morgan come compagno di bevute. Sicuramente il suo fantasma aleggia intorno a noi e stasera si farà sentire.


Il proprietario di questo posto incredibile è invece tutto l'opposto di un fantasma: abbiamo a che fare con un gioviale americano ex capitano di vascello. Ha gettato l'ancora qui, chissà da quanto e chissà perchè. Chiacchieriamo al fresco, su questa specie di plancia di comando che è la terrazza del suo ostello. E' divertito all'idea di farsi fotografare con noi, dopo che gli abbiamo detto che ha di fronte un altro "Captain", di aereo però. 

E adesso, largo alla Storia e alle suggestioni che proprio qui sappiamo esserci in abbondanza. Ridiscendiamo la stradina che porta al mare e in pochi minuti siamo nella fortezza spagnola di San Jerònimo, la più conservata  delle fortezze di Portobelo, progettata a fine '500 dall' italiano Giovanni Battista Antonelli.  La città all'epoca d'oro della conquista coloniale spagnola era il porto più importante del Centro America. L'oro peruviano e i tesori provenienti dall'Oriente arrivavano via mare fino a Panamà, da dove venivano poi trasportati a dorso di mulo fino alla fortezza di Portobelo. Per questo faceva gola e dovette piegarsi alla furia di molti saccheggiatori, il primo dei quali fu proprio Henry Morgan passato di qui nel 1668, tre anni prima di andare a distruggere Panamà. Subì nel tempo altri attacchi, fino a quando, nel 1739 Portobelo dovette piegarsi sotto le cannonate dell'ammiraglio britannico Edward Vernon durante la guerra anglo-spagnola chiamata anche, come spiega l'onnisciente WikipediA", "guerra dell'orecchio di Jenkins poiché nel 1738 il capitano di un vascello mercantile inglese, certo Robert Jenkins, esibì un barattolo con il suo orecchio mozzato alla Camera dei Comuni quale prova degli atti di violenza della marina spagnola contro i navigatori inglesi." 





I poveri tetti di lamiera della Portobelo odierna sono irti di tecnologiche parabole, e contrastano con la scenografia possente che abbiamo alle spalle, fatta di colubrine puntate sull'orizzonte da dove ormai nessun nemico, se non il mare in tempesta e il tempo che le corrode, può più minacciarle.