Stiamo per visitare il sito archeologico di "Panama Viejo", ovvero quello che resta di quella prima Panamà dopo che Morgan e i suoi uomini nel 1671 l'ebbero occupata, saccheggiata ben bene per un intero mese e infine incendiata.
Il sito è incastonato nella Panama moderna, basta un autobus urbano per arrivarci. All'ingresso, dopo la biglietteria, ci soffermiamo in alcune sale con tabelloni, carte geografiche, modellini.
La storia europea comincia a intrecciarsi con quella panamense dopo la scoperta dei favolosi giacimenti minerari nella zona andina, soprattutto l'argento a Potosì.
(la vicenda ve la raccontiamo in quest'altro post: http://paolaeoscar.blogspot.it/2013/08/bolivia-una-visita-che-vale-un-potosi.html ).
L'istmo di Panamà divenne ben presto terra di passaggio fra Sudamerica e Spagna. Si calcola che fra i secoli XVI e XVII vi transitò un buon 60 per cento di tutto l'argento estratto nel Nuovo Mondo. Le flotte attraversavano l'Atlantico in convoglio, prua rivolta a Siviglia e cariche del prezioso metallo. Poi tornavano in America con le stive piene di merci europee.
E la città di Panama, prosperava, affacciata sul Pacifico abitata da famiglie nobili e di ricchi mercanti, e sede di importanti monasteri.
Una cronaca del tempo racconta di "otto monasteri, sette di uomini e uno di donne, due chiese e un ospedale riccamente ornati di pezzi da altare e di pitture, una grande quantità di oro e di argento, con altre cose preziose che i preti avevano nascosto; duemila case, di costruzione magnifica e prodigiosa, la maggior parte abitata da mercanti del paese, che erano molto ricchi".
Usciamo presto dall'artificiosità dei pannelli con le spiegazioni storico-architettoniche, via dalle sale illuminate a neon. Preferiamo inoltrarci negli spazi scenografici del parco archeologico. Ascoltiamo le pietre e i mattoni che Henry Morgan l'hanno visto per davvero.
Le mura hanno sempre da raccontare molto più di tante pagine e tanti cartelli, basta aguzzare la sensibilità.
Ciò che appare subito davanti agli occhi è uno straordinario mix di antico e moderno che sbuca da qualunque parte ci si giri e colpisce al cuore.
La skyline tutta acciaio, vetro e cemento della Panamà odierna contrasta e si fonde nel contempo con i contorni irregolari e arrotondati dei ruderi della sua sfortunata antenata.
I filibustieri, un piccolo esercito di circa 1500 uomini capitanati da Morgan, dopo aver messo a ferro e fuoco la città caraibica di Portobelo arrivarono qui a gennaio 1671. Non dal mare, come verrebbe da pensare, ma da terra, dopo sei giorni di marcia estenuante attraverso una foresta infestata da insetti e altri animali pericolosi. Misero sotto assedio Panamà e malgrado l'esercito spagnolo fosse numericamente più forte Morgan e i suoi ebbero la città in pugno in breve tempo. Cosa videro le mura che abbiamo ora davanti, è facile immaginarlo. Una vivida descrizione ve la possiamo offrire attraverso due pagine tratte da "Pirati e corsari nei Caraibi" di Paul Butel, portato nello zaino per l'occasione.
Ci resta ancora da salire sulla torre, rimasta in piedi e simbolo da sempre della città.
Fa impressione immedesimarsi nelle persone che da qui videro arrivare il massacro e la distruzione rappresentati da quel drappello di filibustieri agguerriti e crudeli, pronti a tutto pur di riuscire a razziare argento, oro e oggetti preziosi.