lunedì 12 agosto 2013

Argentina: un salto... a Salta



"Sagta". In lingua Aymara vuol dire “La più bella”. E così in castigliano al nome Salta è stato subito affiancato l'appellativo "la Linda", la bella. 



In questa mattina di sole appena iniziata, usciamo dall'hotel per una passeggiata in centro. 




Non potremo fermarci a lungo: nel suo grazioso centro storico faremo giusto... un salto. La nostra intenzione è arrivare per cena a Cafayate, percorrendo la strada che penetra nei suggestivi paesaggi della Quebrada del Rio de Las Conchas. Abbiamo prenotato un'auto, e nell'attesa della consegna c'è qualche ora di tempo per gironzolare un po', dopo la statica fatica del viaggio di 15 ore in autobus affrontata ieri. 

Subito ci colpisce la colorata e in qualche modo familiare struttura di una chiesa. 


Leggiamo sulla inseparabile Lonely Planet che si tratta della Chiesa e dell'annesso Convento di San Francisco, e che alla progettazione della facciata hanno collaborato architetti italiani.






Ora capiamo perchè ci aveva attratto, con le sue linee un po' juvarriane. 








Proseguiamo la passeggiata, osservando piccoli particolari “d'antan”  che raccontano un passato di città elegante e piuttosto europea. 
















In tanti emigrarono qui dal vecchio continente,e molti erano di origine italiana. Mentre chiacchieriamo di questo, lo sguardo vaga alla ricerca di un negozio di ottica per far raddrizzare la montatura di un paio di occhiali, inavvertitamente deformata da una gomitata ben assestata, durante l'epica traversata del Salar de Uyuni. Trovato il negozio, a pochi passi dalla piazza centrale, entriamo. Ci accoglie un ragazzo molto gentile, che a sentirci parlare capisce subito che siamo italiani. Largo sorriso, e ci comunica che suo nonno era di Torino!

Intanto arriva un simpatico signore con un maglione a rombi, il proprietario del negozio, e ci informa di essere spagnolo, delle Asturie. Sua moglie, invece, è italiana, di origine piemontese. Intanto emerge dal laboratorio retrostante un ragazzo sorridente,in camice bianco,il figlio. Prende i nostri occhiali e in pochi minuti ce li riconsegna perfettamente sistemati.
Continuiamo ancora qualche minuto a chiacchierare, in un'atmosfera davvero cordiale, quasi famigliare. Per la riparazione non vogliono assolutamente nulla e l'unico scambio di denaro è quello di monete argentine ed italiane, assieme ai reciproci indirizzi. Questa è l'Argentina! Terra che, a cavallo fra '800 e '900 ha accolto più di due milioni di nostri connazionali e i cui discendenti ammontano a una quindicina di milioni.

Rallegrati da questo piccolo ma prezioso e significativo momento d' incontro, ci avviamo verso il cuore di Salta: la luminosa Plaza 9 de Julio, con i suoi giardini, il suo perimetro interamente traforato di portici interrotti solo dalla facciata della elegante Cattedrale. 







E' verso di lei che ci dirigiamo subito, attratti dal portone semiaperto e dai canti liturgici che provengono dall'interno. Entriamo, in tempo per assistere alla fine della Messa.


Circolano, distribuite da alcuni parrocchiani addetti alla visita della chiesa, piccole immagini con la foto di Papa Francesco. Ne regalano anche a noi, accompagnandole con un largo sorriso di benvenuto. Intanto la celebrazione è terminata e possiamo circolare liberamente per l'ampia navata centrale.



Ci avviciniamo all'altare per ammirare ai suoi lati la Virgen e il Senor del Milagro. 





Le due statue sono state trovate in una cassa, a Lima, nel lontano 1592. Esattamente cento anni dopo, nel 1692, furono portate in processione e miracolosamente il terremoto che squassava la regione cessò. La stessa cosa successe nel 1844, e da questi episodi trae origine l'appellativo “del Milagro”. 

Le sacre figure sono esposte in questa Cattedrale, esaltate nella loro bellezza da uno sfondo rosso scarlatto, per ricevere le suppliche e la preghiera devota dei fedeli. Ce ne sono molti anche stamattina, inginocchiati, e contribuiscono a creare tutt'intorno una atmosfera intensa e mistica. 



Rimaniamo un po' lì anche noi, poi quasi malvolentieri ce ne distacchiamo. 









Il tempo corre e ce ne resta poco da dedicare alla “Linda” cittadina. La luce della piazza ci riaccoglie dopo la penombra della Cattedrale. Siamo pur sempre sopra ai 1000 metri di quota, anche se di poco. I colori sono netti e definiti, l'arancio degli ombrelloni dei dehor lungo i contorni dei portici spicca contro il blu del cielo ed il chiaro degli edifici. 






Nella piazza, poco lontano dalla Cattedrale, c'è il MAAM, Museo Arqueologico de Alta Montana. 
Ospita tre mummie di ragazzini Inca, due femmine e un maschio, sacrificati agli dei durante la cerimonia detta della Capacocha. Come la giovane Juanita, conservata ad Arequipa,anche queste salme sono state ritrovate alla fine degli anni '90 presso un vulcano, in perfetto stato di conservazione. Si trattava questa volta del vulcano Llullallaico, a 6700 metri di quota. Le giovani vittime avevano 6, 13 e 15 anni. Non sappiamo bene se entrare al museo o no, siamo ancora molto colpiti dalla visita a Juanita, incontro dolce ed impressionante allo stesso tempo, carico di intensa emozione. Come sovente accade,il destino decide per noi: il lunedì è  giorno di chiusura settimanale. “Le mummie oggi devono riposare” ci dice scherzosamente il cameriere del bar del museo, mentre seduti nel dehor ci gustiamo un caffè.





Siamo un po' dispiaciuti di avere fatto tanta strada senza poter vedere i famosi “bambini di Llullallaico”, ma in fondo neanche poi troppo. Mandiamo loro un saluto silenzioso e ci incamminiamo verso l'autonoleggio: una comoda vetturetta argentata sarà fra poco la nostra nuova compagna d'avventure.