E' ora di pranzo quando il piccolo pulmino bianco ci scarica su una strada non asfaltata, tra bassi edifici color terra. Eccoci a San Pedro, piccolo agglomerato urbano ai margini del Deserto di Atacama. San Pedro de Atacama – infatti - il suo nome completo. Non abbiamo albergo prenotato, e un compagno di viaggio ce ne indica uno, appena a due passi da dove ci troviamo. Accogliamo il suggerimento e andiamo a dare un' occhiata.
E l'idea di toglierci di dosso polvere e stanchezza è immediata e irresistibile. Ma prima urge mettere qualcosa sotto i denti, come si suol dire. Provvediamo subito, comodamente seduti nel rustico patio di un piccolo locale accanto all'Hostal, con una fresca bottiglia di cerveza Austral per terzo commensale.
Poi, tornati alla nostra casetta di legno, non ci pare vero di togliere di dosso e dai panni il sale e la terra accumulati in tre giorni di avventura in alta quota. Qui a San Pedro siamo “solo” a 2400 metri di altitudine, e capelli e bucato oggi asciugano velocemente. Spaparanzati sulle sedie bianche da giardino il relax è totale, piacevolmente interrotto da una chiacchierata con i proprietari delle moto: due amici di Santiago in giro per il Cile e una coppia di californiani già avanti con gli anni, ma con spirito avventuroso da ragazzini. Sì, abbiamo proprio scelto un buon posticino.
Purtroppo, in questo viaggio il Cile non rientra che di passaggio nel nostro itinerario.
Però possiamo approfittare di questa piccola sosta di transito per andare a fare una passeggiata nel centro di San Pedro, a vederne almeno un pezzetto minuscolo. La località è davvero piccola e raggiungiamo il centro in pochi minuti, a piedi. E' molto carino, con case bianco latte e una chiesa antica altrettanto candida. Le vetrine dei negozietti straripano di presepi e statuette di terracotta molto originali: ce ne sono di tutti i tipi, con la Sacra Famiglia ospitata dentro una pannocchia di mais, sopra una barchetta, persino sopra una foglia di coca. E i negozi fungono anche da cambisti, esponendo accanto ai prodotti di artigianato locale dei vistosi cartelli con le quotazioni del giorno. Altri vistosi cartelli offrono tour nel deserto e ascensioni ai vulcani di cui ricordano la notevole altezza. Le vie sono pedonali e sulla piazza principale parecchi turisti si crogiolano al sole, accomodati nei dehor.
Ci avevano avvertito di stare attenti alla microdelinquenza, e tenere sotto stretta sorveglianza macchina fotografica e zainetti. Oggi però è tutto così calmo e rilassante che fatichiamo a tenere alta la guardia, rassicurati come siamo dall'insegna davanti alla caserma dei Carabinieri e dal suo aspetto da vecchio “Far-West”.
Bighelloniamo ancora un po' per far venire ora di cena, poi ci rituffiamo nello stesso grazioso locale che avevamo sperimentato per pranzo.
Ora l'atmosfera è molto più vivace: hanno acceso un falò al centro del patio e i lunghi tavoli di legno sono già occupati da parecchi avventori, quasi tutti giovani. Stasera c'è musica dal vivo, un cantautore e la sua chitarra tengono alto il tono e l'atmosfera di questo piccolo angolo di mondo, così lontano dall'Italia ma così vicino al nostro cuore. Neruda, Allende, il famigerato Pinochet, i “desaparecidos”...mentre nella testa passa velocemente questa rassegna, il ragazzo accanto a noi ci chiede da dove veniamo. Iniziamo una piacevole conversazione.
Dopo un po', timidamente e quasi in contemporanea, noi e lui andiamo “sull'argomento”. E vuole sapere, chiedendocelo quasi a mezza voce, se noi in Italia sapevamo, in quei tempi bui, ciò che stava accadendo nel suo paese. Certo, rispondiamo. E protestavamo nelle piazze, ne parlavamo a scuola e sentivamo a tutto volume gli Inti-Illimani inneggiare al Pueblo Unido o far rivivere le toccanti atmosfere delle canzoni di Violeta Parra. Pablo Neruda era letto e recitato con fervore. Rassicurato dalle nostre parole sul fatto che la gioventù italiana degli anni '70 non avesse ignorato le sofferenze del suo popolo, il ragazzo ci ha raccontato della sua famiglia e dei suoi parenti scomparsi per opera del regime di Pinochet. E' finita con un grande brindisi, i calici di buon vino rosso cileno a suggellare la nostra promessa di programmare per gli anni a venire un viaggio dedicato al Cile.
L'indomani, attraversando una San Pedro domenicale deserta e di nuovo assolata, saliamo su un bus dell' “Andesmar”. Ci attendono quindici ore di viaggio per raggiungere l'Argentina. L'arrivo nella cittadina di Salta è infatti previsto per le 23, dopo aver scavalcato la Cordillera delle Ande. Bighelloniamo ancora un po' per far venire ora di cena, poi ci rituffiamo nello stesso grazioso locale che avevamo sperimentato per pranzo.
Ora l'atmosfera è molto più vivace: hanno acceso un falò al centro del patio e i lunghi tavoli di legno sono già occupati da parecchi avventori, quasi tutti giovani. Stasera c'è musica dal vivo, un cantautore e la sua chitarra tengono alto il tono e l'atmosfera di questo piccolo angolo di mondo, così lontano dall'Italia ma così vicino al nostro cuore. Neruda, Allende, il famigerato Pinochet, i “desaparecidos”...mentre nella testa passa velocemente questa rassegna, il ragazzo accanto a noi ci chiede da dove veniamo. Iniziamo una piacevole conversazione.