mercoledì 21 agosto 2013

Cataratas del Iguazù: seguendo Álvar Núñez Cabeza de Vaca


Immaginate di essere nel 1541. Siete di origine spagnola e il vostro nome è Álvar Núñez Cabeza de Vaca.  Avete circa cinquant'anni e da almeno quindici nel Nuovo Mondo vi siete trovati a fare i conti, fra Florida e Messico, con naufragi, spedizioni andate male e una lunga prigionia presso una tribù indigena. Poi siete ritornato in patria, il Regno di Spagna, dal vostro sovrano Carlo I. Ma lì non avete resistito a lungo. Il vostro carattere irrequieto e la promessa di un incarico importante, Governatore della remota provincia di Rio de la Plata, vi hanno  spinto a rifare vela verso il Nuovo Mondo. Sbarcati sull'Isola di Santa Catalina, in Brasile, siete venuti a sapere che la colonia spagnola di Rio de la Plata, decimata dai combattimenti contro gli indios, ha abbandonato quella zona e si è spinta all'interno del continente fondando una città di nome Asunciòn. Decidete di raggiungerla e vi inoltrate nella selva insieme al drappello di uomini che vi hanno seguito fin qui. Stanco e provato, state avanzando faticosamente fra alberi giganteschi e sottobosco umido e intricato.











Fa caldo, gli insetti vi tormentano e la fatica è quasi insopportabile. A poco a poco si materializza un rombo cupo e sordo. Sempre più forte, poi decisamente assordante. Gli ultimi secchi colpi di machete fendono l'intrico di vegetazione grondante umidità. E un sipario di lucide frasche verdi si apre per voi, primo europeo della Storia umana arrivato fin qui. Lo spettacolo è possente: l'acqua precipita da un fronte di più di settecento metri e da un'altezza di quasi cento, formando una voragine impressionante da cui salgono nuvole di gocce quasi vaporizzate e incorniciate da arcobaleni di colore intenso. 







Il frastuono è insopportabile e la luce del sole, rifratta da mille prismi liquidi, accecante. La natura sta recitando una delle sue pièces meglio riuscite: La “Garganta del Diablo”...la gola del diavolo. 








Così ora la gente la chiama, anche se Cabeza de Vaca battezzerà questa, e le altre cascate accanto, “Saltos de Santa Maria”. Ma queste cascate  un nome già l'avevano e lo manterranno: Iguazù   Dato loro dal popolo che da sempre le conosceva, gli indios Guaranì. Mirabile sintesi di un fenomeno spettacolare di indescrivibile bellezza: Y, “acqua”, Guazù, “grande”.









Noi abbiamo un debole per lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. E anche ora, per la terza volta nella nostra vita davanti alla “Cataratas del Iguazù”, non abbiamo potuto fare a meno di ripensare a questa sua pagina: 

 “Buttando fumo da sotto il vestito di ferro, tormentato dalle punture e dalle piaghe, Álvar Núñez Cabeza de Vaca scende da cavallo e vede Dio per la prima volta. Le farfalle giganti svolazzano intorno. Cabeza de Vaca si inginocchia davanti alle cascate dell'Iguazù. I torrenti, strepitosi, schiumosi, si rovesciano dal cielo per lavare il sangue di tutti i caduti e per riscattare tutti i deserti, fiumane impetuose che sprigionano vapori e arcobaleni e cavano foreste dal fondo della terra secca: acque che ruggiscono, eiaculazione di Dio che feconda la terra, eterno primo giorno della Creazione.
Per scoprire questa pioggia di Dio, Cabeza de Vaca ha camminato una metà del mondo e navigato l'altra metà. Per conoscerla ha sofferto naufragi e sofferenze; per vederla è nato con gli occhi nella faccia. Quel che gli resta da vivere sarà un regalo.”

(Eduardo Galeano, Memoria del Fuoco, Le Origini)