martedì 13 agosto 2013

Da Cafayate a Tucuman: la Ruta del Vino


E' una di quelle mattine di sole d'inverno, quando l'aria tiepida e il cielo blu ti invitano ad una passeggiata.





Lasciamo l'hotel, ci aspettano circa 250 chilometri da percorrere in auto. Siamo  sulla “Ruta Nacional 40” , la mitica strada che corre parallela alla cordillera andina per  5300 chilometri fino a raggiungere i confini della Terra del Fuoco. Noi ci accontenteremo di percorrerne un centinaio, poi l'abbandoneremo per la 307 e saliremo verso Tafi del Valle, 2000 metri di altitudine. Prevediamo di arrivare a San Miguel de Tucumàn - i suoi abitanti l'abbreviano  familiarmente in “Tucumàn”-  nel tardo pomeriggio.










Sullo stradone principale della cittadina che ci ha dato ospitalità questa notte, Cafayate, si affacciano gli ingressi delle principali “Bodegas” che l'hanno resa famosa come centro vitivinicolo di prim'ordine in Sudamerica. 






Bordo strada, osserviamo qualche viticultore intento a piccoli lavoretti di routine tra i filari in letargo.




Un ritrovarsi in certo qual modo a casa, per noi piemontesi abituati alle terre da vino di Langa e Monferrato, o alla tutto sommato vicina Provenza.



Qui però è più scenografico. Inquadrature, buone per una pellicola ambientata nel Far West: botti, carretti parcheggiati contro il cielo blu, cactus.




Non c'è molta gente in giro, anzi, praticamente davanti alle Cantine ci siamo solo noi. E' giorno feriale e pure invernale. Immaginiamo il trambusto che ci dev'essere qui al tempo della vendemmia, e del successivo periodo di degustazioni, contrattazioni, vendite e acquisti. 


Ci attrae una “Bodega” un po' diversa dalle altre, architettonicamente curiosa e con il cancello aperto in maniera invitante. 




Ci sono viticultori fra i filari, e ci indicano cordialmente l'ingresso. Varchiamo la soglia della Cantina, “Las Arcas de Tolombòn”, insieme ad un responsabile che ci mostra la struttura dell'azienda. E’ una Casa vinicola giovane, in espansione. I proprietari sono dei creativi, e lo si vede da come è stato progettato l'edificio.



La costruzione è realizzata in mattoni disegnati, impastati e modellati a mano da artigiani locali, e la cui argilla proviene, così come il legno che si interpone ad essi, dalle terre della Tenuta stessa. 

L'edificio è davvero curioso, ha una forma tripartita, tre bracci che si protendono verso i vigneti.  L'orientamento dei bracci si ispira all'architettura incaica, e ricerca  l'armonica compenetrazione tra l'elaborazione del vino, frutto della terra, e il Cosmo. La struttura, inoltre, prende spunto dalle abitazioni dei villaggi dei deserti africani, a loro volta ispirate all'architettura dei termitai, per quanto riguarda il condizionamento termico e  la ventilazione. Si tratta davvero di un ambizioso progetto di “architettura bioclimatica”.



E non solo, la cantina dove riposano le botticelle più pregiate è addirittura una piccola pinacoteca.  Decisamente, questo luogo ha una marcia in più, rispetto alle consuete e tradizionali Cantine. 



Scendiamo nella parte sotterranea, tra imponenti silos di acciaio lucente.
I macchinari sono tutti rigorosamente italiani, osserva orgoglioso il nostro cicerone mentre entriamo nel reparto imbottigliamento ed etichettatura. 




  
Risaliti nella parte centrale del bell'edificio, cuore da cui si dipartono i bracci, inizia la piacevole degustazione dei gioiellini della casa. 





















Cabernet Sauvignon, Torrontès, Malbec, Tannat. Il vino, ottimo, colora di riflessi rosati o ambrati il marchio della Casa, molato sulle belle forme arrotondate dei calici. Tutto è curato nei minimi dettagli.


Anche il nome che li accomuna, “Siete Vacas”, è frutto non casuale di un intendimento di recupero delle tradizioni locali: si ispira infatti ad una leggenda del luogo, riportata sul retro dell'etichetta. 









Usciamo dalla Bodega contenti di aver aggiunto un altro interessante tassello alla nostra cultura enologica. Il vino, consumato con intelligenza e a dosi moderate, è un meraviglioso strumento conviviale di tradizione millenaria. E poi... è la bevanda più sana e igienica che ci sia, lo diceva anche Pasteur!