sabato 10 agosto 2013

Salar de Uyuni: Inferno dantesco e Surrealismo catalano









Il Tour del Salar si è concluso. Tre giorni intensi, appena trascorsi, che proviamo a raccontare. 
Siamo partiti da Uyuni. Dopo aver attraversato una parte di deserto di sale e ammirato l' "Isla del Pescado" abbiamo lasciato la superficie cristallina per rotaie di sabbia che ci hanno condotto al rifugio di San Juan, dove abbiamo trascorso la prima gelida notte. 














 Stanati dal sacco a pelo dall'infaticabile Valter, nostro autista e guida, abbiamo consumato una rapida, indispensabile colazione. Poi, ancora infreddoliti, siamo usciti dal rifugio per caricare il fuoristrada. Nella luce limpida del mattino abbiamo avuto così modo di osservare l'incredibile spettacolo di una partita di calcio. Giocata a quell'ora da abitanti del villaggio, a quella quota, a quelle temperature poco sopra lo zero ! 




Il resto della seconda mattinata è trascorso tra paesaggi di infinita bellezza dove  regnano indisturbati i camelidi andini. Solo le due rotaie d'acciaio che corrono verso il Pacifico richiamano l'esistenza dell'uomo, così come qualche fuoristrada che ogni tanto ci sorpassa sollevando nuvole di polvere. 








Nelle molteplici sfumature di ocra, marrone e giallo pallido si sono aperti talvolta cromatismi indimenticabili, quando ci siamo accostati alle lagune dai mille riflessi di verde e azzurro, impreziosite da stormi di fenicotteri rosa e orlate di sottili erbe d'oro. 









Abbiamo sostato per un pranzo "en plein air" sulla riva di una di esse.



Il cammino è ripreso, e una sosta fotografica per immortalare l'"Arbol de Piedra" non è potuta naturalmente mancare.  





E intanto, la luce del tramonto ci avvicina alla seconda notte nel cuore dell'altipiano boliviano: la "Reserva Nacional de Fauna Andina Eduardo Avaroa". 
Stavolta, in un piccolo rifugio con camerate a otto letti. Anche lì niente riscaldamento. Valter ci ha avvertito che la luce è prodotta da un generatore di corrente e che ci sarebbero state solo due ore di energia a disposizione. Sistemati zaini e sacchi a pelo, ci siamo riuniti nell'ambiente comune e abbiamo cenato.



L'atmosfera era allegra e conviviale, il menù composto da minestrone di verdure, seguito da spaghetti al sugo di pomodoro. Un po' sorpresi e alquanto divertiti, abbiamo fatto osservare ai nostri compagni d'avventura sudamericani che in Italia questi sono considerati "primi piatti". Uno o l'altro insomma, a scelta. In Bolivia (ma anche in Perù, ci spiegano) invece gli italianissimi spaghetti sono serviti anche come  "secondo piatto".
Un ultimo sorso del buon vino che i gestori del rifugio ci hanno fatto trovare in tavola e ci siamo sentiti pronti ad affrontare la nuova notte nel deserto.
Vestiti, ci siamo infilati nei sacchi termici e usato le coperte dei letti come ulteriore strato protettivo. Naturalmente, calzando sulle teste i berrettoni di lana d'alpaca con tanto di paraorecchie. Gli spifferi di aria ghiacciata avevano via libera, dalle finestre oscurate solo da tende leggere. Siamo sopravvissuti anche a questa prova, ed il mattino (ore sei) ci ha trovato tutto sommato riposati. L'acqua in rifugio era freddissima e scendeva scarsa dai rubinetti dei bagni comuni. Niente doccia e quindi un mucchio di tempo risparmiato. Perciò colazione, caricamento bagagli e partenza, tutto in pochissimo tempo. 





Solo dopo aver preso posto sul Land Cruiser ci siamo resi conto appieno della temperatura esterna, e il freddo provato in rifugio nelle ore precedenti ci è parso di colpo un'inezia. I vetri erano letteralmente ghiacciati dall'interno. Passandovi un dito si raccoglievano trucioli di algida brina. 


 


Valter ci ha informato che nella notte la temperatura era scesa a -18. All'interno del rifugio, in fondo avevamo avuto cinque o sei gradi sopra lo zero. Di che lamentarsi quindi? Mentre cercavamo di non pensare al freddo che continuava a penetrare gli strati di tessuti in cui eravamo infagottati, il fuoristrada ha percorso piste di terra ghiacciata. Altre ruote avevano tracciato solchi profondi ora pietrificati dal gelo. Un'area ricoperta da creste di neve indurita, ed improvvisamente ci siamo trovati nell'inferno dantesco:  crateri fumanti vapore bianco-grigiastro e odore di zolfo. La zona dei Geyser, aperti quasi sotto i nostri piedi.





      

                       




Siamo rimasti ipnotizzati dalla forza primordiale emanata da quello spettacolo geologico, inquietante nella sua bellezza pericolosa. La versione più addomesticata, le acque termali dell'area poco al di sotto, l'abbiamo vista solo dal finestrino. Ma se la tabella di marcia non ci ha consentito una sosta, c'era in serbo per noi una visone ancora più suggestiva:

"Il Deserto Dalì" l'area di territorio così surreale da ricalcare in modo impressionante gli sfondi del Maestro di Figueres. 





Dopo questo viaggio a sorpresa nel surrealismo catalano ci attendeva ancora la Laguna Verde. Sullo sfondo, l'imponente vulcano Licancabur( 5900 metri).




Altro tuffo degli occhi nei colori delle acquamarine, prima di lasciare la "Reserva Nacional Eduardo Avaroa" per raggiungere il posto di confine boliviano. Abbiamo dovuto affrettarci, perché la frontiera è aperta solo dalle otto a mezzogiorno e dalle quattordici e trenta alle diciotto e trenta.





Lasciati i compagni di tour, ci siamo avviati al controllo passaporti.






Un pulmino targato Cile è stato la chiave per proseguire la nostra avventura. Ci ha traghettato dalla Bolivia a San Pedro de Atacama attraverso una strada in ripida discesa verso il posto di  frontiera cileno. 



Ci sembrava di essere dentro un set cinematografico, tanto era profonda la prospettiva. E difatti, a metà strada, il set l'abbiamo trovato davvero.