Come nel film di Tavernier anche noi ci accingiamo a trascorrere una lenta e tranquilla domenica. Sotto un ombrello di cielo blu cobalto usciamo dall'hotel e ci tuffiamo nelle vie della capitale più alta del mondo.
La Paz ci appare, finalmente, con tutto il suo splendore di brutta e affascinante signora. Un'accozzaglia di edifici di stile ed epoca diversi costeggiano i marciapiedi ingombri di venditori di cianfrusaglie assortite o alimenti colorati: frutta, bottiglie di bibite pressoché fluorescenti, ciambelle e pani.
La messa sta finendo. Entriamo, in tempo per ricevere una benedizione assolutamente per noi inconsueta. Il celebrante invita i fedeli che lo desiderano ad avvicinarsi all'altare. Poi, armato di secchiello d'acqua benedetta e aspersorio formato scopetta, inizia ad inondare i fedeli con copiose "innaffiature" di sacro liquido che la gente riceve devotamente per poi allontanarsi dall'altare ed uscire. Rimaniamo sorpresi e stupiti ed una riflessione si fa strada. Giorni prima avevamo letto l'antica testimonianza di Fray Martìn de Murùa nella sua Historia General del Perù. Vi si raccontava di una cerimonia religiosa Inca nella quale, dopo aver sacrificato un animale, il sangue veniva sparso in parte all'intorno ed in parte racchiuso in vasetti da lanciare poi contro le pareti di roccia, là dove non si poteva arrivare in altro modo. Queste benedizioni così abbondanti d'acqua ci ricordano proprio quell'antico rito.
Lasciata la piazza risaliamo il centro storico ed entriamo nel palazzo del Marchese di Villaverde, ora sede dell'interessante Museo Nacional de Etnografia y Folklore, che visitiamo.
Raggiungiamo quindi il cuore storico e politico di La Paz: Plaza Murillo.
Elegante, i quattro lati illuminati dal sole di questo mezzodì festivo, ci sfiora con un volo di colombi così fitto che sembra di essere a Venezia.
Attraversiamo i giardinetti centrali e andiamo a fotografare la facciata rosa del palazzo del governo, sorvegliata da guardie impettite.
Accanto, l'altrettanto solenne cattedrale che non possiamo visitare perché sta per chiudere.
La lasciamo al suo riposo festivo, circumnavigandola lungo il lato sinistro.
La lasciamo al suo riposo festivo, circumnavigandola lungo il lato sinistro.
Gli antichi muri perimetrali delimitano una via in discesa che ci riserva una chicca: L'hotel Torino!
E' punteggiato di tavoli apparecchiati, alcuni già occupati. A lato, un quartetto sta preparandosi a suonare.
Scoviamo una rampa di scale che lo raggiunge e dopo pochi istanti godiamo di una duplice spettacolare visione: in basso il ristorante con l'orchestrina, in alto il tetto di vetro attraverso cui ci osservano un edificio moderno e la cattedrale antica,
Fotografiamo tutto e poi attraverso una porticina transitiamo nel vero e proprio "Hotel Torino", piombati di colpo negli anni '20 di una hall profumata di legni antichi.
Il parquet scuro scricchiola sotto i piedi. L'atmosfera è però informale ed il presente si fa sentire. Alcuni clienti, sprofondati in divani fanè sono assorti dietro a schermi di computer portatili o leggono. Chiediamo al ragazzo del bancone di reception il motivo del nome dell'hotel. Ci risponde che il primo proprietario era un italiano. Di più non sa, ma a noi piace pensare che sia stato un nostro concittadino torinese. Dopo un ultima boccata di atmosfera da canzoni di Paolo Conte abbandoniamo questo luogo delizioso: fuori ci aspetta sempre Sua Altezza La Paz. Decisi a scoprirne ancora qualche angolo percorriamo una via pedonale ingombra dalle solite bancarelle.
Il termometro segna 15°, nemmeno poco per una giornata d'inverno a questa altitudine. E le sorprese non sono finite!
Un incidente stradale? Assolutamente e fortunatamente no! Ci affacciamo anche noi, in tempo per fotografare il passaggio di una sgargiante parata di ballerine dai coreografici costumi locali. Sfilano in occasione della festa nazionale della Bolivia che cadrà il 6 di agosto.